The Cure in tour in Italia: davvero Just Like Heaven

Festeggiano il quarantennale proprio quest’anno e lo stanno facendo in grande stile i The Cure, con un tour mondiale cominciato a maggio negli Stati Uniti, per poi trasferirsi in Europa, impreziosendo non poco il già ricchissimo line up dell’edizione 2016 di Glastonbury. E adesso stanno girando l’Italia per quattro date tutte sold out. Bologna e Roma sono già archiviate, manca il doppio appuntamento milanese del 1° e 2 novembre al Forum di Assago.

Noi di Giornalettismo abbiamo avuto il privilegio di vederli due volte, lo scorso settembre a l’Isola di Wight, band di cartello del Bestival 2016, dopo Glastonbury il più importante dei festival musicali estivi inglesi, e ieri sera a Roma al Palalottomatica. Scaletta praticamente identica, ma concerti molto diversi. Il primo all’aperto, con una platea di trentamila persone a sfidare la pioggia della Manica, il secondo nell’intimità, e anche nella particolare acustica, di un palazzo dello sport. Ma le emozioni non cambiano, anzi, restano intatte come ogni volta che si vede Robert Smith imbracciare la chitarra e affrontare il pubblico con i suoi ormai improbabili capelli corvini.

Passare tre ore con i Cure (sì, tre ore, ormai solo il Boss è così generoso) è come fare un tuffo nel passato, tornare in un’epoca lontana, quella in cui nacquero band storiche come i Joy Division, I Jane’s Addiction, gli Echo and the Bunnymen, Siouxsie and the Banshees. La New Wave si contrapponeva al punk e insieme si accoppiavano con il gothic rock e la scena dark. E il vecchio Robert, 57 anni suonati, non si è tirato indietro, portandoci avanti e indietro nel tempo e ripercorrendo praticamente tutta la storia musicale di una band che con le sue canzoni ha segnato tre decenni e altrettante generazioni. Per chi non ci credesse, basta guardarsi intorno: a entrambi I concerti a cui abbiamo assistito il pubblico era dai sedici ai sessant’anni, tutti ipnotizzati dai giochi di luce del fantastico impianto scenografico ideato per questo tour, e soprattutto da canzoni che non invecchiano mai.

Non parte in quarta, Robert, la scaletta si apre con Shake Dog Shake, pezzo del 1984 tratto dall’album The Top, ma già dalla successiva Fascination (Disintegration è ancora un album sontuoso) fa capire che vuole sedurre lentamente la platea, portarla dalla sua parte facendola emozionare con amore. Il primo colpo al cuore arriva dopo poco più di venti minuti, quando attaccano le prime note di In Beetwen Days, e ammetto che le prime lacrime cominciano a rigare il volto. Ma niente in confronto a quello che accade quando in rapida successione arrivano Pictures of You (esecuzione straordinaria, 7’30) e Lullaby. L’apoteosi è ovviamente per Just Like Heaven, un classico senza tempo, uno di quei pezzi che hai bisogno di ascoltare almeno quattro volte a settimana per sentirti meglio.

Siamo a circa un’ora e venti, per fortuna manca ancora tanto. I The Cure sono assolutamente perfetti, e nel loro habitat naturale, il palco, e di fronte il pubblico che li ascolta in adorazione, cantando con loro ogni sillaba, come quando viene investito dai bassi poderosi dell’overture di Burn. Il concerto volge al termine, la band lascia il palco, ma per poco, anche perché non avrebbero potuto abbandonare il PalaLottomatica senza salutare il pubblico con tre evergreen come Friday I’m in Love, Boys Don’t Cry e Close to Me.

Si congedano con Why Can’t I Be You, e soprattutto con tanta gioia nel cuore. Arrivederci Mr. Smith. Speriamo di rivederci molto presto.

Photo: The Cure at Bestival 2016
Photo Credit – Carolina Faruolo © 2016

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