10 cose che vi preghiamo di non fare sui social quando c’è un terremoto

27/10/2016 di Boris Sollazzo

Siamo un paese di santi, poeti, navigatori, costituzionalisti, ct della nazionale, critici cinematografici e sismologi. Sì, basta leggere i social, e in particolare twitter, per non avere dubbi al riguardo.

Ieri per molti Richter non era il mitico attaccante della Germania Est Hans, ma Charles Francis, che ha dato il numero alla scala di misurazione che con le sue sentenze alimenta le nostre paure. E anche le paranoie (vedi la bufala sui risarcimenti statali che non arrivano se le scosse rimangono sotto i 6.0). Proviamo a stilare un decalogo su cosa NON fare sui social in caso di terremoto.

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1. Prima uscire di casa, poi twittare o regalare status al mondo. Noi, senza il vostro immediato “Terremoto, cazzo”, o “che botta!” sopravviviamo. Voi, forse, pure. Sì, voi che scappate da casa guardando il telefono e digitando, magari dimenticando i parenti dentro.

La velocità non è un valore, sui social, se non siete giornalisti. Anzi non lo è neanche per quest’ultimi, visto che all’Agi hanno dato, per 20 minuti, morti e feriti inesistenti (e il social media manager di La7 ci è cascato).

2. Il Safety Check non è un poke. Il Safety Check su Facebook va usato per tranquillizzare familiari e parenti, non per intasare le notifiche di chi non vi pensa neanche perché sa che dall’università di Urbino o da quella casetta così graziosa di Perugia, vicino a quella di Amanda Knox, siete tornati da una dozzina d’anni. Il Safety Check logora chi ce l’ha.

3. Niente battute, mi raccomando. I terremoti hanno preso la brutta abitudine di arrivare durante o poco dopo partite di Champions o campionato. Non sono arrivati, fortunatamente, geniali sfottò da curva né anatemi vegani. Pare ci sia solo un grillino, tal Cioffi, che ha pensato bene di legare il No al referendum al terremoto, definendo il primo più pericoloso per il Senato. Chapeau. Poi si è scusato, almeno ci ha risparmiato il gombloddo dell’internet delle feste danzanti di chi entra nei tuoi account e fa status fake.

4. Se siete a più di 100 km dall’epicentro del sisma, il vostro gatto sotto al divano terrorizzato non ci interessa. La teiera della nonna che si è spostata, neanche. Figuriamoci la porta che si è aperta cigolando come in un film horror o l’immancabile video del lampadario che dondola. Siete bravi nello storytelling, per carità, persino più di Matteo Renzi, ma in quei momenti in cui cerchiamo segni di vita di amici e parenti coinvolti, la nostra reazione alle vostre vicende è affidata al grande capo Estiqaatsi.

5. Se siete dei complottisti, mettetevi sotto un campanile antico. Noi abbiamo un grande rispetto del patrimonio artistico, ma se deve cadere un monumento, diamine, che prenda uno di voi. Avete idea di quanto panico e dolore spesso creano le bufale vomitate dai vostri smartphone? Ah, ovviamente, dando notizia della vostra morte, metteremo in dubbio che sia avvenuta.

6. Lo sappiamo che siamo un popolo di poeti. Ma se scrivete su Facebook e non per una grande casa editrice, raramente siete geni incompresi. Quindi le vostre riflessioni auliche sulla caducità della vita e del cornicione del vostro palazzo fatele pure. Ma con una privacy limitata ai vostri fan o alle 4 del mattino, quando non vi (e ci) legge nessuno.

7. Lo so che avete insegnato diritto costituzionale a Zagrebelski e vi siete laureati commentando le dirette di Mentana. Ma di sismologia, cazzo, non dovete parlare! Per voi Mercalli è il meteorologo di Che tempo che fa, la Protezione civile una forma di anticoncezionale e l’evacuazione un’attività che fate leggendo Topolino o il Corriere dello Sport. Non parlate di magnitudo, faglie e tettonica a placche, vi prego, sono cose serie, si parla delle vite delle persone. Diciamo anche a te, Tozzi.
Lasciate la timeline a chi fa questo di lavoro. Lo so, è dura per voi tuttologi. Ma lo fate per un mondo migliore. E così, senza scrivere, magari potete leggere e imparare.

8. L’abuso di hashtag socialmente utili andrebbe punito con il carcere. Quando c’è una catastrofe naturale, un attentato, un disastro, l’hashtag di servizio (ieri era #terremoto) non va colonizzato con riflessioni, ironie politiche, aneddoti inutili. Ma va usato per aiutare chi è in difficoltà, magari offrendo accoglienza. A Parigi quando subirono gli attacchi dell’Isis molti lo fecero, qui da noi di twittaroli compulsivi pronti a ospitare sfollati ne ho visti pochini.

9. Le linee telefoniche non funzionano. Le linee elettriche probabilmente neanche. Il wi-fi va e viene, pure Sky e Premium vanno a singhiozzo. E voi che fate? Alzate il telefono e chiamate, usando whatsapp e Facebook messenger perché magari la luce è saltata. La vostra vicina di pianerottolo o quella del quarto piano. “Hai visto che botta?”. “Mamma mia, terribile”. Ma se tu sei vivo e parli, lei che è nello stesso palazzo sta bene, fidati. L’avresti vista la sua casa crollare, dal balcone della cucina. Se proprio sei preoccupato per la comare con cui spettegoli ogni mattina, vai a bussare, abbracciatevi fortissimo, prendete un the insieme. E lasciate libere le linee. Un altro must è “l’hai sentita?”. Ovvio, sta a tre metri da te, certo che l’ha sentita. Cosa pensavi fosse, un trasloco?

10. Se siete un Vip, un aspirante concorrente dell’Isola dei Famosi, una futura fidanzata di un calciatore o una social star, niente selfie, tweet, status o foto sexy su Instagram per fare appelli o lasciare al mondo le proprie considerazioni. Solo opere di bene.

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