Salvini non si fida del “NO” di Berlusconi. Cosa c’è dietro la (finta) tregua del Cav

19/10/2016 di Alberto Sofia

Fosse stato per Silvio Berlusconi, sarebbe rimasto ancora nell’ombra. Altro che ritorni in tv, altro che battaglie comuni per il “NO” al referendum costituzionale con Matteo Salvini e Giorgia Meloni, quel duo lepenista che vuole soltanto soffiargli la leadership. Il Cav avrebbe scelto volentieri il limbo, in una convalescenza quasi infinita dopo l’intervento al cuore, fino al voto spartiacque della legislatura. Un “disimpegno tattico”, mormorano dentro Forza Italia

Perché, ne è certo il leader azzurro, il verdetto del 4 dicembre può cambiare tutto. Può restituirgli centralità, allontanare l’Opa della Lega, rimetterlo al tavolo dei dossier che contano, legge elettorale compresa. Ma non solo. Perché, politica a parte, la grande ossessione nella mente del Cav è tornata quella delle grane giudiziarie, l’onta dei processi. Pesa l’incubo di un rinvio a giudizio sul Ruby Ter (dove è indagato per corruzione in atti giudiziari, ndr), dopo che la stessa sorte è già toccata a Kharima El Marhoug, l’ex fedelissima Maria Rosaria Rossi e un’altra ventina di invitate alle feste di Arcore. Tradotto, tutto sembrerebbe sconsigliare al presidente azzurro di «mettere la faccia» in una campagna anti-referendum nella quale, al di là delle frasi di rito, crede poco o nulla. Né lo appassiona, di fronte a una legge prima fatta votare al partito, poi bollata come “deriva autoritaria“, con toni propagandistici, per la rottura con Matteo Renzi nei giorni dell’elezione di Sergio Mattarella al Quirinale.

COSA C’È DIETRO LA (FINTA) TREGUA TRA IL CAV E SALVINI

Eppure, con il verdetto ancora incerto, Berlusconi è costretto a trattare. A tornare in scena, ancora una volta. Anche perché non erano soltanto gli alleati a chiedergli un segnale, contro lo spauracchio del Nazareno e le ombre di un assist di Mediaset verso Palazzo Chigi, dopo l’endorsement per il “Sì” di Fedele Confalonieri. Pure mezzo partito già ribolle, né sembra fidarsi degli umori del Cav. Dall’ala oltranzista di Renato Brunetta, ai vecchi colonnelli che dall’estate fanno la guerra contro Stefano Parisi, fino ai filo-leghisti come Giovanni Toti, in subbuglio c’è gran parte del gruppo dirigente, convinto che non ci sia alternativa alla “foto di Bologna“. Quella della (presunta) unità, seppur a trazione leghista. Un gruppo parlamentare rissoso e pronto a minacciare pure una clamorosa rottura se il Cav decidesse di “restaurare” la pax con Renzi. O, più semplicemente, scegliesse la strada della desistenza.

Ecco come si spiega la mezza pantomima del “No” sbandierato dal Cav in diretta televisiva al Tg5, il ritorno a Roma dopo quattro mesi di assenza. E soprattutto il vertice inaspettato di Palazzo Grazioli tra i leader del centrodestra, in realtà mai così distanti. Non è un caso che lo stesso Salvini avesse provocato appena due giorni prima il Cav: «Ormai è finito il tempo dei vertici a casa di Berlusconi», sbandierava il numero uno leghista. Prima di cambiare idea, a meno di 48 ore di distanza, di fronte alle rassicurazioni berlusconiane. O meglio, alla realpolitik.

Certo, perché Salvini crede poco alle promesse del Cav di non farsi da parte in una campagna elettorale ancora appena iniziata. Una partita dove in ballo c’è soprattutto il voto degli elettori moderati, quelli a cui punta lo stesso Matteo Renzi per vincere il referendum. Una fetta di voti che sarà determinante alle urne: «Questo è un referendum trasversale: è importante l’appartenenza politica, ma più importante il rapporto con le leve che potrebbero spostare i voti. Attualmente i più indecisi stanno nel centrodestra, anche in maniera rilevante», conferma a Giornalettismo la stessa Alessandra Ghisleri di Euromedia Research, già consulente del Cav. Berlusconi lo sa. E non è un caso che anche dentro Forza Italia, a microfoni spenti, temano di perdere voti nel proprio stesso bacino: «Un terzo dei nostri è orientato a votare Sì? Forse non un terzo, ma di sicuro non saranno pochi..», c’è chi spiega non senza imbarazzi dietro le quinte. E non sembra nemmeno un mistero, se anche il capogruppo Paolo Romani da Palazzo Giustiniani, lì dove Renato Schifani ha riunito i vertici del partito con i costituzionalisti del NO,  si spinge fino ad ammettere la necessità di «recuperare quel 5-7% di elettori di FI indecisi». Dai vertici di Forza Italia, però, non vogliono nemmeno sentir parlare delle accuse di un “NO” tiepido del partito: «Niente ambiguità, la nostra posizione è quella di un “NO” convinto, chiaro», rivendicano i capigruppo Romani e Brunetta.

QUEL NO “DI FACCIATA” DI SILVIO BERLUSCONI AL REFERENDUM

Non sembra bastare per rassicurare il Carroccio. Perché, anche se il Cav ha promesso a Salvini altri interviste in tv, in pochi dentro la Lega Nord sembrano fidarsi: «Se ci fidiamo di Forza Italia? Guardi, Berlusconi rivendica il NO, poi, certo, tutta questa gente attorno a lui che sostiene il Sì non può che farci venire qualche dubbio...», spiegano a Giornalettismo dal fronte salviniano. «Lo capiremo nelle prossime settimane, vedremo quanto si impegnerà nella campagna elettorale…», avverte pure il deputato Cristian Invernizzi.

La fiducia è scarsa. E non è un caso che Salvini, poco prima di entrare a Palazzo Grazioli, avesse comunque lanciato frecciate al Cav: «I dati dicono che siamo il primo movimento del centrodestra, quindi il segretario della Lega sarebbe ora il candidato leader. Berlusconi ne prenda atto», è il benservito diretto verso il Cav. Toni da campagna elettorale, smorzano in casa azzurra: «Salvini incalza Berlusconi perché sa che la sua presenza nel fronte del No è determinante. In qualche modo, riconosce la sua centralità. E lo sa che è l’unico leader», taglia corto Mariastella Gelmini. Parole e scontri tra (presunti) alleati che mostrano tutta la distanza tra due mondi, quello di Fi e quello leghista, mai così lontani: «Un giorno la Lega ci massacra sulla stampa, l’altro vuole accordi con noi», c’è non a caso chi si lamenta dentro FI. 

Eppure, almeno per ora, quello della leadership non è un discorso centrale per Berlusconi. Costretto soltanto a stoppare le fughe in avanti di Salvini, a frenare la sua Opa. E allontanare chi, dentro Forza Italia, sembra lasciarsi già tentare dall’abbraccio con il segretario del Carroccio. Il timore principale, politica a parte, restano sempre i processi. Già lo scorso mese la posizione dell’ex premier nel Ruby Ter è stata stralciata per motivi di salute, dopo la richiesta di legittimo impedimento. Così l’udienza per il Cav riprenderà il 15 dicembre.

Allora, saranno passati pochi giorni da un voto che resta ancora ai margini dei suoi pensieri. Non è un caso che, al momento, non ci sia in agenda nessun ritorno in prima linea. Non ci sarà sabato 22 a Milano a San Babila, il Cav, dove Fi lancerà la campagna elettorale per il NO. Al massimo, manderà un messaggio. Poi, rilascerà qualche altra intervista. Il minimo indispensabile. Quanto basta per provare a tranquillizzare partito e alleati. E prendere tempo. Più che “soft”, un “NO” di facciata.

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