Stefano Parisi non sfonda, nel silenzio di Silvio Berlusconi

17/09/2016 di Alberto Sofia

L’aspirante leader evoca il Cav, il vecchio premier si nasconde o quasi. Certo, non è una novità, Silvio Berlusconi ama giocare su più tavoli. Ma resterà deluso chi si aspettava un endorsement pubblico del presidente per Stefano Parisi. O anche un semplice augurio prima della fine della convention “Energie per l’Italia al MegaWatt di Milano, prima tappa per il rilancio (tentato) dei liberal popolari. Nessuna consacrazione pubblica, non c’è traccia di note o documenti ufficiali. Il presidente azzurro resta ancora il grande assente.

PARISI EVOCA IL CAV, LUI SI NASCONDE

Segue l’evento quasi con distacco, da Villa Certosa. E lo mette alla prova. Soltanto una telefonata privata, c’è chi giura dietro le quinte, prima di una kermesse  terminata senza squilli, quasi nell’anonimato. «Stefano vai avanti, non fermarti di fronte a chi non ti vuole dentro Forza Italia». Tradotto, quei colonnelli come Renato Brunetta, Giovanni Toti, Paolo Romani, che da mesi assaltano il “papa straniero”. Se il consigliere politico aveva già affondato da Pontida, alleato di quel Matteo Salvini mai così distante da Parisi, il capogruppo a Montecitorio ora può gongolare dopo il comizio di chiusura, con il suo classico sarcasmo: «Parisi usa il nostro dizionario, benvenuto. Quando vuole gli daremo la tessera. E siamo pronti a lavorare insieme, visto che oggi abbiamo ascoltato cose che diciamo e che sosteniamo da anni». Tutt’altro, in realtà, che una benedizione.

STEFANO PARISI E IL TIMORE DELLA REAZIONE DI FI E LEGA. QUEL NO CONTRO LE ACCUSE DI INCIUCIO

Dal palco Stefano Parisi lancia poche proposte, confuse, si sbilancia poco per tenere tutti dentro o quasi. Chiaro che soffra la paura di una reazione ruggente di Salvini, così come il timore che si consumi la faida con le truppe ribelli di Forza Italia. Con quel mondo, ne è consapevole, non può rompere. Almeno ora che la sua “creatura” è appena partorita. E che la vecchia nomenklatura non vuole farsi da parte. Non sono un caso i messaggi lanciati nel comizio finale, i tentativi di forzare i toni contro Renzi e il governo: l’unità del centrodestra, lo spirito liberale del ’94 «da aggiornare», gli 80 euro di Renzi che non bastano. E soprattutto quel “No” «ottimista» ribadito al referendum costituzionale per allontanare i fantasmi dell’«inciucio», di fronte alle accuse della Lega: «Si può fare di meglio, se vince il No non sarà il caos come vuol farci credere il premier». Una delusione per chi in platea, non erano pochi, spiega invece di voler votare a favore: «Quelle sono le nostre riforme, le abbiamo disconosciute e dimenticate».

Ma Stefano Parisi non può andare contro la linea di Fi e quella scelta dal Cav. Si permette al massimo qualche stoccata, a chi (compreso lo stesso Berlusconi) sbandiera presunti “pericoli democratici“: «Renzi non è un pericolo per la democrazia, ma per lo sviluppo di questo Paese. Non dobbiamo fare l’errore della sinistra che si coalizzava contro il Cav».

Reclama un nuovo linguaggio, ma non ha ancora la capacità di imporsi, né certo una forza o una furia rottamatrice. Così non c’è bisogno di una carta dei valori, «perché vanno bene tutti».  Spiega che «l’Ue di Ventotene non c’è mai stata, né ci sarà», per non subire gli assalti salviniani. Ma non sfonda. Di certo, resta lontano dai toni lepenisti, anche sull’immigrazione. Ma con quel partito sarà costretto a dialogare.

STEFANO PARISI SILVIO BERLUSCONI RESTA IN DISPARTE. IL SILENZIO DEL CAV

Dopo due giorni di kermesse, tra interventi stanchi di docenti e professori, quel che non si capiscono però sono i programmi, al di là di qualche slogan sulle strategie da «lungo periodo». Né quale sarebbe l’innovazione del suo messaggio politico. In poche parole, non emoziona. Non scalda la platea. E non è un caso che il Cav se ne stia in disparte.

Non è ancora il momento di sbilanciarsi, per il presidente, con il verdetto incerto del referendum costituzionale. E lo confermano, a microfoni spenti, anche i pochi dell’Ufficio di presidenza azzurro che tifano per l’ex manager di Chili: «Ora deve avere la forza di aggregare da solo, Berlusconi lo testa e si tiene aperte più strade. Ma più che Brunetta e Toti, mi spaventano i suoi salti in avanti…». Il timore, è chiaro, è che resti soltanto uno dei tanti delfini spiaggiati, prima lanciati dal Cav, poi bruciati. Una copia di quell’Alfano senza quid. Certo, Parisi gode ancora della stima del nuovo (vecchio) cerchio magico. Quello di Letta e Confalonieri, del partito-azienda. Ma quel che sembra spaventare il Cav è la sua scarsa capacità di attrarre: in platea c’erano pezzi di vecchio ceto politico, ex come Scajola in cerca di “riabilitazione”, pochi sponsor azzurri come Giro e Micciché, qualche anima errante di Ncd come Formigoni e Sacconi, pezzi di Cl. E poco altro. «Vedremo se sarà in grado di riportare FI al 20%, come gli ha chiesto Berlusconi. O se finirà per azzopparsi e finire fuori strada da solo». Ad Arcore l’anonimato di “Energie per l’Italia” sembra già un cattivo segnale.

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