Shimon Peres è morto. Addio al perdente di successo della (quasi) pace tra Israele e Palestina

28/09/2016 di Boris Sollazzo

SHIMON PERES È MORTO

Shimon Peres è morto a 93 anni, in seguito a un durissimo ictus, che lo ha colpito il 13 settembre. Se ne va dopo cinque anni dalla morte di Sonia Gelman, sua moglie. E’ morto il Nobel per la Pace del 1994 ma anche quello che da molti ambiti della sinistra radicale europea viene definito “criminale di guerra”. Il sognatore visionario che all’inizio degli anni ’90 ha creduto in una pace impossibile, quasi realizzandola, e il pragmatico opportunista che ha perso troppe elezioni, inghiottito troppi rospi e, forse, ha anteposto la ragion di stato, come falco, qualche volta di troppo. Ma che è come colomba che passerà alla storia.

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SHIMON PERES LA VITA

Forse non avrebbe mai immaginato, Shimon Perski, di vivere quasi un secolo. Il secolo più lungo, più tragico, più difficile ma anche più bello per il suo popolo. Non se lo sarebbe immaginato, il giovane polacco, che poi diventerà Shimon Peres, quando ancora adolescente e per sua fortuna già emigrato in Palestina con il padre Yitzakh (ricco commerciante di legname) e la madre Sonia (libraia), cominciò la Seconda Guerra Mondiale. Quando la polacca Višneva, ora bielorussa, in cui era nato e cresciuto viene devastata dall’Odio. Lì gli abitanti erano 2600, prima, di cui quasi 1900 ebrei. Nel 1942 furono deportati quasi tutti e ne morirono 1100. Shimon Peres, che così perse amici e parenti, decise lì di trovare un luogo altro per il suo popolo, di difenderlo a tutti i costi e di diventare un uomo di pace. Come spesso è successo nella storia di Israele è arrivato alla pace, o alla sua ricerca, dopo una lunga esperienza militare e tante, troppe guerre.

SHIMON PERES E YITZAKH RABIN

Cresciuto nei kibbutz di Geva e di Alumot e lì scovato da Levi Eshkol e messo tra le figure apicali del movimento laburista, nel 1946 al 22° Congresso Mondiale Sionista si fa notare da David Ben-Gurion. A neanche 23 anni, quindi, entra in contatto con due totem della politica e della storia israeliana: non sa ancora che anche lui entrerà in questo pantheon, insieme a Ytzakh Rabin. Anche se ciò che li ha resi immortali è il più tragico fallimento dell’epoca moderna, quella pace Israele-Palestina infranta dai proiettili contro Rabin di un estremista di destra israeliano e dalle elezioni dominate dalla paura e che videro proprio Peres sconfitto in favore del falco del Likud Bibi Netanyahu.

Peres ha avuto una lunga carriera militare: l’anno prima della dichiarazione di creazione dello stato d’Israele in terra di Palestina – risoluzione Onu ancora oggi al centro del conflitto più lacerante dell’Occidente – viene arruolato nell’Haganah (l’organizzazione paramilitare ebraica in Palestina durante il Mandato britannico dal 1920 al 1948, da non confondere con l’Irgun, considerata “terrorista” dai britannici) dove conosce Rabin ma anche Ariel Sharon e Moshe Dayan e molti altri avversari e alleati della sua futura vita politica. Nel 1948 sarà a capo della Marina, poi arriverà il Ministero della Difesa, quello dei Trasporti, quello dell’Informazione. Nasce il partito laburista e quella di Peres, con Rabin sempre un passo avanti. Nel 1974 poche decine di voti danno a quest’ultimo la leadership del partito e del paese, acuendo una rivalità tesissima già da anni e che si protrarrà a lungo nonostante il nuovo premier dia a Shimon di nuovo il Ministero della Difesa. Tre anni dopo approfitta dello scandalo “Leah Rabin” (seconda moglie del leader, che contro le regole vigenti in Israele, manteneva un conto bancario estero) per essere premier ad interim. Ma è l’inizio del momento più buio della sua carriera: inizia la lunga sequela di sconfitte che hanno costellato la sua parabola politica. Nel 1977, così come nel 1981 (anche a causa del raid contro il reattore irakeno di Osirak), dando per la prima volta alla destra del Likud la guida del paese. Paese che conobbe uno tsunami inflattivo e una serie di scelte tragiche in politica estera – in particolare il Libano, che spaccò in due un paese che non è più stato lo stesso – e che non vide migliorare la sua situazione con la vittoria di Peres nel 1984, ottenuta con un margine così fragile da dover costruire una coalizione di governo basata sulle larghe intese con Likud e non solo. Tanto che nel 1986 lascia il posto di premier in un’alternanza programmata e andrà prima alle Finanze e poi agli Esteri. Ed è qui che costruisce la sua strategia di pace e che porta lui e il partito, nel 1990, a uscire dal governo e andare all’opposizione.

SHIMON PERES E GLI ACCORDI DI OSLO

Nel 1992 Peres perde ancora. E ancora succede contro l’amico-nemico Rabin. E ancora quest’ultimo diventa leader laburista e premier. Ma questa volta non c’è astio, entrambi, un tempo falchi, stanno costruendo e realizzando un’utopia. Hanno iniziato nel 1991, senza ruoli di governo, in colloqui segreti a Madrid. La pace è un sogno e loro non hanno titoli per negoziarla, ma lo fanno. Poi, due anni dopo, sono al potere. A Oslo, Israele e Olp (Organizzazione per la Liberazione della Palestina, guidata dal terrorista Yasser Arafat), continuano le trattative. Ora non più segrete, dopo le tappe di Londra e Zagabria. Finirà, il tutto (ideato dall’allora ministro degli esteri norvegese), il 13 settembre del 1993, con Usa e Russia a far da garanti e Arafat a firmare per l’Olp e proprio Shimon Peres a sigillare gli accordi di pace e di intesa successiva per Israele. Di quel giorno ci rimane una foto (Rabin e Arafat che si stringono la mano davanti a Clinton) e tante speranze, deluse.

SHIMON PERES NOBEL PER LA PACE

Nel 1994 il premio Nobel per la pace va a Shimon Peres, Yasser Arafat e Yitzakh Rabin. Un riconoscimento all’impresa dei tre ma anche un incoraggiamento. Tutti e tre, però, già da mesi gestiscono una spaccatura lacerante nei loro popoli. Molti reagirono con entusiasmo e speranza, in Israele come in Palestina. Ma molti si opposero, così che i leader dovettero piegarsi, non di rado, ai falchi. Un fiume di finanziamenti israeliani in Palestina – atti a migliorare le condizioni del popolo confinante – annegarono nella corruzione endemica e in rivoli non troppo chiari, così come il terrorismo, ufficialmente abbandonato, mantenne e aumentò le sue azioni. Di contro in Israele il doloroso voto alla Knesset (il Parlamento israeliano: gli accordi passarono con un devastante 61-50) non chiuse i giochi a favore degli accordi. Quintuplicarono i controlli e aumentarono gli insediamenti: fondamentalmente le rispettive leadership erano ostaggio delle loro ali estreme e cercavano con mosse contraddittorie di portare avanti il processo di pace, dando contentini troppo ingombranti ai falchi. Finì che nel 1995, in una manifestazione pacifista oceanica a Tel Aviv, Yitzakh Rabin venne ucciso da Ygal Amir, colono ebreo estremista attivissimo nella creazione di nuovi insediamenti e contrario alla costruzione di uno stato palestinese. Era il 4 novembre: l’iniziativa che serviva a restituire fiducia nella pace agli israeliani (ma anche ai palestinesi dopo il massacro della grotta dei Patriarchi) si risolse con la più grande tragedia politica del mondo occidentale dai tempi degli omicidi dei fratelli Kennedy.
E’ la fine. Peres diventa premier, il paese cade nella paura e nel populismo razzista di Netanyahu, pochi mesi dopo il Likud riprende il Potere con le elezioni e una strategia aggressiva e violenta nei territori occupati, torna anche l’Intifada. Peres le prova tutte, difende gli accordi con l’Autorità Palestinese ma al prezzo di sostenere Sharon: anni dopo con Ehud Barak riesce a tornare vicinissimo alla pace, ma Arafat fa fallire le trattative. Poi cerca posizioni più moderate, accetta di aiutare un governo di opposta fazione come ambasciatore, nel 2007 diventa presidente dello Stato d’Israele. Proverà a invertire gli equilibri, nel nuovo millennio, con una formazione di centro, Kadima, ma quegli anni di speranza, di sogni non torneranno. Perché, purtroppo, rimane Peres uno dei più grandi leader della storia della politica internazionale, ma anche il più incredibile perdente di successo che essa ricordi. E, per la verità che si deve anche e soprattutto ai morti, probabilmente paga l’aver sbagliato le scelte più importanti, in particolare subito dopo l’assassinio di Yitzakh Rabin.

(Foto di copertina: ETIENNE LAURENT / AFP / Getty Images)

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