Di Battista apre al governo di scopo per cambiare l’Italicum (dopo il referendum)

Nega «lotte di potere dentro M5S», ma frena la corsa di Luigi Di Maio verso Palazzo Chigi, già azzoppata dal caos Raggi in Campidoglio e dal flop sul caso Muraro. E, per la prima volta, Alessandro Di Battista apre pure a un governo di scopo per cambiare l’Italicum, ma solo dopo il referendum costituzionale e una vittoria del fronte del No. Da Otto e mezzo, il rampante «Dibba» , volto dell’oltranzismo pentastellato, guarda oltre la consultazione referendaria che resta lo spartiacque della legislatura. Aperture che però lo stesso Di Maio smentisce: «No al governo di scopo, i 5 stelle andranno al governo con il voto degli italiani». Aggiungendo però: «Allo stesso tempo sappiamo che probabilmente, se vince il No, ci sarà un momento sulla legge elettorale».

 

DI BATTISTA E IL GOVERNO DI SCOPO PER CAMBIARE L’ITALICUM

Di fronte all’assalto di mezzo Parlamento alla legge elettorale, che il M5S non votò ma che resta quasi perfetta per spingere i pentastellati al governo, ora Di Battista prende tempo:

«L’Italicum va cancellato, produrrà un Parlamento di nominati. Ma per noi l’obiettivo principale è il No al referendum, poi si può votare anche nel 2018, a patto che Renzi faccia un passo indietro e si trovi un altro premier per fare la legge elettorale».

 

Sosterrebbe un esecutivo di scopo, allora? «Dipende, qualora vincesse il No al referendum il giorno dopo valuteremo».

 

Da Di Maio, precisazioni differenti:

«Sarà il presidente della Repubblica a decidere se sciogliere le Camere, se individuare una persona per formare un nuovo governo o se chiedere alla Camere con un governo dimissionario di approvare una legge elettorale e andare a votare. Sono tre ipotesi che faccio io, poi magari ne ha altre il presidente Mattarella», spiega Di Maio spiegando come la legge elettorale «la fa il Parlamento».

E, attacca il componente del Direttorio M5S, «questi signori vogliono modificare l’Italicum che avevano appena celebrato come la legge più importante della storia della Repubblica, la legge più bella che ci avrebbero invidiato in tutto il mondo e adesso la vogliono modificare dimostrando che le leggi elettorali se le fanno per proteggere le loro poltrone».

 

Sulle Olimpiadi, invece, se Di Maio fa il “governativo” – «Raggi si prenda i suoi tempi», Di Battista continua il muro: «Per me sono un dramma, bisogna essere molto duri».

VERTICE GRILLO – DAVIDE CASALEGGIO PER LA NUOVA LINEA

Intanto in un vertice il co-fondatore Beppe Grillo e Davide Casaleggio si sono riuniti per dettare la nuova linea al Movimento 5 Stelle. Spiega il Corriere della Sera:

Lontano dai riflettori. Novanta minuti di colloquio — il primo di rilevanza dopo la scomparsa di Gianroberto Casaleggio — per affrontare i nodi che stanno affliggendo i pentastellati. Sul tavolo le tensioni interne (e i cambiamenti annunciati all’organizzazione), le linee da seguire per l’evolversi della situazione al Campidoglio, la questione-statuto (ormai in via di definizione) e anche il prossimo appuntamento di Italia 5 Stelle, in programma tra una decina di giorni a Palermo. 

 

Ovviamente bocche cucite sulle decisioni prese, ma il dato politico è il nuovo asse, fulcro delle scelte, tra l’imprenditore e il garante, un ritorno — nel momento di difficoltà — alle origini del Movimento. Quello di ieri non sarebbe l’unico vertice in programma questa settimana nel capoluogo lombardo: si stanno limando gli ultimi dettaglia per la kermesse siciliana. Ma tra i parlamentari, invece, non si placa la guerra intestina. Pragmatici, ortodossi e senatori serrano le fila e provano a contarsi. La tensione rimane altissima. C’è chi sbotta: «Se ci trasformiamo nella Dc per arrivare alle poltrone di governo, allora non avremo più un governo Cinque Stelle ma un governo in stile Dc». E chi auspica: «Serve una visione di strategia collettiva, non dei personalismi: così distruggiamo tutto». L’unico punto che accomuna la maggioranza di deputati e senatori è un no all’allargamento del direttorio. «Se cinque persone litigano, figuriamoci cosa possono fare sette o otto» è il ragionamento che corre tra pragmatici e ortodossi.

 

Intanto i parlamentari spingono pure per lasciare l’Anci, l’organizzazione dei Comuni, per associarsi da soli. Anche perché c’è il nodo Pizzarotti, sospeso dal M5S e tra i nomi evocati per la sostituzione di Fassino:

Da Parma non confermano né smentiscono le indiscrezioni (Pizzarotti è attualmente vicepresidente della struttura), mentre nel M5S l’idea viene vista come una «provocazione» da parte dei dem. Nelle ultime ore, però, sta cominciando a serpeggiare un’idea che però potrebbe sparigliare le carte dell’associazione (e dello stesso Pizzarotti): l’ipotesi che i Comuni pentastellati abbandonino l’Anci per associarsi da soli. L’idea sarebbe ancora allo studio, ma avrebbe già ricevuto i primi riscontri favorevoli di peso. Si tratterebbe di una svolta dettata dalla volontà di non appiattirsi in quella che è stata bollata come «una struttura monocolore». Uno strappo che avrebbe particolare efficacia se all’iniziativa aderissero anche Appendino e Raggi. Un passo, però, che potrebbe essere non condiviso da tutti i sindaci, in primis proprio da Parma. Intanto, proprio sulla sospensione del sindaco della città ducale, ancora in attesa da maggio di una replica alle sue contro-deduzioni, interviene Di Maio: «Sulla questione Pizzarotti spero di dare una risposta il prima possibile. Ma la deve dare il garante delle regole».

 

Share this article