D’Alema snobba la linea Bersani: «No al referendum. Riforma cattiva di per sé»

02/09/2016 di Alberto Sofia

I vertici dem lo evocano come il simbolo della conservazione, il “manovratore” di un’imboscata lanciata per scalzare Matteo Renzi da Palazzo Chigi e riprendersi il Pd. L’ “altro Matteo” del Nazareno, l’ex delfino Orfini, lo ha provocato bollandolo nelle vesti del “girotondino“. Nemmeno la vecchia Ditta di Bersani lo segue,  smarcandosi – non è la prima volta –  dalla sua linea oltranzista, in attesa di un segnale dalla segreteria sull’Italicum. Lui, il Lìder Maximo Massimo D’Alema, non sembra scomporsi. Fu il primo storico obiettivo della «rottamazione» renziana, ora nega trame alle spalle del premier. Ma si è già intestato la battaglia interna al partito per il No al referendum costituzionale. Lancerà i comitati già lunedì, dal Cinema Farnese, in quella che viene minimizzata come una semplice “riunione organizzativa“. In realtà, il battesimo per la fronda dem che si oppone a quel progetto di riforma della Carta forgiato dall’ex capo dello Stato Napolitano e “madre delle battaglie” per Renzi.

MASSIMO D’ALEMA: «RIFORMA COSTITUZIONALE SBAGLIATA, AL DI LÀ DELL’ITALICUM»

Distante dalla linea attendista bersaniana, l’ex premier non si fa troppi scrupoli ad evocare quella scissione che, a suo dire, «sta già avvenendo», al di là delle mosse del gruppo dirigente. E, intervistato da Left, spiega perché ora boccia la riforma Boschi: «Penso che la Riforma costituzionale sia proprio sbagliata. E la legge elettorale anche», incalza. «Il combinato rende tutto ancora più grave, ma non è quello il punto, perché l’impianto della nuova Costituzione è gravemente squilibrato a favore dell’esecutivo e senza un adeguato sistema di contrappesi e di controlli. Che fu poi la ragione fondamentale per cui votammo No alla Riforma Berlusconi». Tradotto, Bersani, Speranza, Cuperlo sbagliano, secondo D’Alema, nel legare il sostegno o meno al referendum alle modifiche della legge elettorale.

Non ci sta a passare come simbolo dell’immobilismo, di fronte a Renzi che lo attacca sulle stagioni fallimentari della sua Bicamerale e lo provoca sulla «storia d’amore che merita rispetto» con Berlusconi. «Quando si dice che nessuna riforma è stata fatta prima che arrivasse Renzi si dice una cosa non vera. Sono un forte sostenitore del fatto che le riforme costituzionali vadano fatte, ma che si debba scriverle con una larga maggioranza», insiste l’ex premier. Lo stesso che, è la replica dei vertici renziani, fece approvare la riforma del Titolo V della Carta sempre con i margini esigui delle forze della sua maggioranza. Adesso D’Alema reclama invece riforme condivise: «Cambiare la Costituzione con una maggioranza risicata significa introdurre precarietà. Vorrebbe dire che ogni volta che cambia la maggioranza potremmo avere un’altra Costituzione». Fino a citare pure il Colle: «Se i grillini vincono le elezioni avremo un’altra Carta? Io lo trovo un elemento di grave instabilità istituzionale. Per questo Mattarella votò contro alla riforma Berlusconi».

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Lo stesso D’Alema che per anni inseguì il Centro e che pure alla vigilia delle elezioni 2013 cercava di venire a patti con l’Udc di Casini e i montiani, ora mostra di non digerire la maggioranza che ha blindato il disegno di legge Boschi, tra ex sodali del Cav (Verdini) ed ex diversamente berlusconiani alla Alfano ora alla corte del premier. «La maggioranza che ha cambiato la Costituzione non è la maggioranza che ha vinto le elezioni. Non ha un mandato popolare per cambiare così la Costituzione. Può legittimamente governare perché siamo in un regime parlamentare, ma che questa maggioranza raccogliticcia, fatta di transfughi e di trasformismo, possa cambiare la Costituzione è cosa vieppiù discutibile sotto il profilo di principio», affonda.

D’ALEMA (PER ORA) QUASI ISOLATO NEL PD

Eppure nel partito, almeno per ora, D’Alema è ancora quasi isolato. Pochi parlamentari, da Manconi a Tocci e Mucchetti, si sono già espressi per il no. Il resto della truppa della sinistra interna resta attendista. Lontana dalla sua linea incendiaria: «Noi aspettiamo un segnale dalla segreteria, il rispetto degli accordi raggiunti quando abbiamo dato il via libera al Senato al ddl Boschi. Renzi mantenga le promesse e non spacchi il Pd», spiegano dalla minoranza dem bersaniana. Una deadline per una scelta sul referendum, precisano, ancora non c’è: «Non c’è ancora nemmeno la data del referendum…». Ma un segnale si attende già da Catania, per la conclusione della Festa nazionale, l’11 settembre. In attesa, è ancora strategia da penultimatum. Nel mezzo tra Renzi e l’ombra di D’Alema.

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