Charlie Hebdo e la vignetta sul terremoto: #JesuisCharlie, oggi più di allora

02/09/2016 di Boris Sollazzo

Lavevamodetto. Così, tutto attaccato. #CharlieHebdochi? avevamo scritto. E’ odioso dirlo, figuriamoci scriverlo. Ma l’avevamo fatto. Subito dopo l’assalto sanguinoso a Charlie Hebdo, mentre tutti piangevamo maestri della matita e della satira, celebravano l’eroismo di un direttore che ha provato a salvare i suoi disegnatori e redattori, vi avevamo avvertito. Scrivere #JesuisCharlie sui social, su uno striscione, su un muro o anche solo dirlo, aveva un suo peso. Lo dicevamo perché avevamo avuto la fortuna più volte di leggerlo quel giornale, prima, di essere sfidati dal suo umorismo feroce e senza dei. Di essere stati presi a pugni dai loro disegni, dalle loro parole, dalle loro provocazione. Da quel Charlie incapace di fermarsi, anche di fronte alla morte, alla religione, al sesso. Anzi, spesso le mette insieme.

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Eravate Charlie, perché c’era Maometto lì. Perché in Italia Dio che veniva posseduto dal profeta non l’avevamo visto, perché non era nostro il sangue su cui si rideva. Perché quando gli bruciavano la redazione non muovevamo un dito.

Oggi, sì. Oggi ce ne siamo accorti. Oggi qualche genio inneggia persino all’Isis. Perché in quel giornale hanno scritto una battuta sul terremoto (“morte 300 persone in un terremoto in Italia, ancora non si sa se abbia urlato Allah Akbar prima di tremare”) e hanno fatto una vignetta dura che mostra tre effetti del terremoto come fossero un menù: un ferito fasciato e sanguinante diventa “penne al sugo”, un uomo ustionato e pieno di escoriazioni è “penne al forno”, cadaveri sotto strati e strati di macerie, “lasagne”. Per Charlie Hebdo quelli sono i piatti, le pietanze in cui mangeranno le cricche. Il più classico magna magna. Battuta che facciamo sempre ma che da loro non accettiamo

Tutti, o quasi, conosciamo qualcuno morto ad Amatrice o dintorni. O conosciamo qualcuno a cui è morto un parente o un amico lì. Tutti sentiamo un brivido addosso guardando quel disegno. Tutti, però, non ci rendiamo conto che la nostra indignazione, patriottica (sì, ammettiamolo, dà fastidio a quasi tutti perché loro sono francesi e quel metterci di mezzo la pastasciutta è per noi l’atroce offesa di considerarci “Italia, pizza, mandolino e coppola”), si scaglia contro di loro. E non contro chi ha permesso che quelle case venissero giù. Non riflettiamo che la battuta pubblicata sul terremoto che urla Allah Akbar è innanzitutto un ripercorrere il dramma che ha vissuto quella stessa redazione, ironizzare sul loro sangue e non solo sul nostro. Per quella libertà sono morti in 12, una sporca dozzina capace di entrare nelle nostre coscienze e far loro male, stracciare il velo di ipocrisia, richiamarsi ai nostri bassi istinti per farci riflettere.

Un menù dell’orrore. Ma a Charlie Hebdo non ridono dei morti, ma dell’abitudine di costruire lo storytelling delle tragedie come un menù, di non cambiare mai ricetta. Dei media, del popolo, delle istituzioni: piangere per non reagire. Ci rassicura l’iconografia, la retorica, infine la catarsi. E allora loro ci sbattono in faccia, con una satira feroce, un’equazione che facciamo tutti, per proteggerci dall’orrore. Loro hanno il compito di raccontarlo, a modo loro. Di prenderci a schiaffi, calci e pugni. Non sono forse morti sotto strati di pietra e cemento le vittime del terremoto? Sì. Ma vederlo ci fa infuriare. Non volevano farci ridere a CH. Non lo vogliono quasi mai. Vogliono farci incazzare, reagire o almeno prendere coscienza. E lo fanno con se stessi, sempre: andate a vedere le vignette dopo l’attentato di Nizza.

Ma alla fine le battute non vanno neanche spiegate. La libertà non si giudica dall’efficacia di una vignetta. Francamente se l’avessi disegnata io l’avrei resa più chiara e diretta e anche più violenta – ma non viene venduto sul mercato italiano, quel giornale (ecco il perché delle “penne al forno” e non dell’amatriciana) – e forse avrei saltato un passaggio o addirittura due. Ma conta poco. Conta che abbiamo capito che noi difendiamo la libertà quando si prende in giro Maometto, ma non se parlano del nostro terremoto. Senza neanche accorgerci che lì siamo noi l’oggetto della derisione, non i morti. Noi che leggiamo in milioni gli articoli che riportano i deliri di una malata di fama su carne e karma, e in poche centinaia le inchieste sul perché quelle case sono crollate. Perché la nostra indignazione è un tanto al chilo, come la pasta.

E poi invece di usare la nostra rabbia contro i politici e gli imprenditori improvvisati, per le Chiese rimodernate per essere più belle invece che messe in sicurezza (e che con il loro campanile uccidono 4 persone), preferiamo mandare un sms pieno di redenzione e falsa coscienza al 45500 e prendercela con gli odiati francesi, magari ricordandogli pure i mondiali del 2006.

Non c’è via di mezzo. La libertà va difesa sempre. O ha ragione chi è entrato in quella redazione armi in pugno, o possono, per la libertà d’espressione, disegnare quello che vogliono. Non mi sognerei mai di proibire al disegnatore del Fatto di lavorare, anche se preferisco a lui, e alla vignetta sulla Boschi (“Lo stato delle cosce” è una delle sue tante vignette furbe e di mestiere, adatte a solleticare i bassi istinti di committenti e lettori), quel genio di Mauro Biani. Il giudizio sulla qualità dei suoi lavori, non mi impedisce di tutelarne la libertà. Certo, penso che questa vignetta di CH abbia molta più dignità, intelligenza, potenza e coraggio della cellulite disegnata alla Boschi. Ma chi se ne frega. Lo giudico, ne valuto il valore artistico, l’umorismo e l’efficacia. Ma non il suo diritto ad esistere.

Io sono e rimango Charlie. Ed è oggi che va detto, non dopo una strage. Perché i nostri principi passano da una vignetta come quella, dai nostri connazionali morti e definiti “lasagne”. Sì. Altrimenti è solo islamofobia, razzismo, opportunismo, democrazia a responsabilità limitata: Maometto può essere disegnato in rapporti anali, noi non possiamo neanche essere oggetto di una metafora dura e complessa. Su cui riflettere, invece di sparare a zero sui social mezzo secondo dopo averla vista. Grazie ai Poteri Forti, quelle case erano così deboli da essere cadute formando una serie di lasagne di sangue, carne e cemento. Ci piaccia o no. Ed è sempre il solito menù: di feriti, ustionati e morti. Ma noi non cambiamo mai ricetta. Perché noi siamo sempre liberi, coraggiosi, aperti, ironici. Con la vita, gli attentati, le tragedie degli altri, però.

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