Ma Renzi alla Versiliana ha confermato che si dimetterà se vincesse il No al Referendum

D’estate siamo tutti un pochino più pigri. E magari rivedere un’intervista di un’ora del Presidente del Consiglio non è il miglior passatempo possibile. Leggendo i commenti su Facebook e Twitter, Matteo Renzi, intervistato  alla Versiliana  da Paolo Del Debbio, si sarebbe rimangiato quello che ha sempre detto sul Referendum. Sostanzialmente Renzi avrebbe detto che anche in caso di sconfitta rimarrebbe a Palazzo Chigi. Questa – almeno – è stata la traduzione di quanto detto dal premier, rispetto ad una sua frase «Da noi si vota nel 2018».

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Infatti, in quel momento Del Debbio ricordava quanto sarà difficile ottenere qualcosa in Euorpa da Merkel e Hollande visto che entrambi l’anno prossimo, il 2017, sono attesi da un voto molto complicato. A quel punto viene posta a Renzi una domanda sulla fine della legislatura: «Da noi invece si va nel 2018?» Risposta di Renzi «Da noi si va nel 2018».

Ed in effetti la legisltatura scade proprio nel 2018, visto che si è votato nel 2013. Insomma, Renzi non ha detto che non si dimette in caso di sconfitta, ma – visto che non spetta al Presidente del Consiglio porre fine alla legislatura ma al presidente della Repubblica – (tra le altre cose Renzi  proprio su questo argomento aveva fatto una gaffe istituzionale alcune settimana fa ) è rimasto nel suo seminato. E in effetti, anche in caso di dimissioni, non è detto che si vada ad un nuovo voto, anzi è probabile che molti partiti cercheranno di dar vita ad un nuovo governo che abbia come obiettivo quello di varare una nuova legge elettorale.

Ma non è tanto questo il problema. il problema è che successivamente Renzi conferma la sua posizione: ovvero che si dimetterà in caso di sconfitta al Referendum. Lo dice in maniera più soft, ma lo fa capire benissimo. Basta guarda questo estratto dell’intervista alla Versiliana. Le sue parole sono chiare:

«Nel caso in cui vinca il No, quello che faccio lei lo sa benissimo, l’ho già detto, non è questo il punto della discussione». Questa la premessa ad un discorso in cui Renzi cerca di sottrarre il Referendum ad un giudizio universale su di lui o sul governo, cercando di riportare al centro della scena la riforma stessa. Anche perché – evidentemente – il Referendum passerà soltanto se a votare Si oltre agli elettori del Pd saranno anche una parte di coloro che alle ultime elezioni hanno votato per M5S, Forza Italia.

Insomma, anche se non lo dice esplicitamente è evidente che in quel passaggio Renzi conferma la sua intenzione di dimettersi. Cosa che, peraltro, sarebbe difficile non fare in caso di una bocciatura della riforma costituzionale portata avanti dal governo. Dirò di più: anche se vincesse il Si si andrebbe inesorabilmente verso la fine della legislatura. Perché, anche se alcuni esponenti del Pd fanno notare che bisognerebbe cambiare i regolamenti parlamentare per adeguarli alla riforma, la maggioranza di governo – che racchiude partiti di centro destra e centro sinistra – è destinata a venire meno una volta compiuto la ragion d’essere di questa strana alleanza, ovvero l’approvazione delle riforme. Infatti, questa legislatura prende il via con la rielezione di Napolitano alla presidenza della Repubblica e con una maggioranza sull’asse Pd-Forza Italia (poi Ncd nel momento in cui Silvio Berlusconi si tira fuori dalla maggioranza), proprio per assicurare la fine della transizione italiana. Venuto meno questo obiettivo, non c’è una ragione per la quale forze così diverse restino insieme al governo. Senza contare che l’avvicinarsi del voto – e il riassetto del centrodestra tutt’ora in corso – non potrà che allontanare i vari partiti che compongono la maggioranza

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