Il mestiere di padre

Fare il padre – lo dicono tutti – è un mestiere difficile, forse il più difficile del mondo. A fare l’amico, son capaci tutti. Per far l’amante, basta un po’ di fantasia e di voglia. Fare il marito non è facile, ma applicandosi si può imparare a barcamenarsi. Ma il padre?

Perché i figli ti spiazzano. Non sai come prenderli, da quando nascono. Per le madri dicono sia più facile, viene tutto “naturale”. Non ne sono così sicuro, ma comunque le donne se la cavano meglio degli uomini in tutto, figuriamoci in questo. Hanno quell’aria rugosa, e tu senti che dovresti amarli, ma sono batuffoli di carne e proprio non ti viene naturale.

Fare il padre è un mestiere difficile, perché l’esperienza non ti serve a nulla. Ogni volta è tutto da reinventare, un po’ come all’esame quando ti sembra di aver capito tutto e poi arriva quella studentessa che ti piaceva pure un po’ e ti chiede “ma tu l’hai capita la nota a pagina 242?” e tu cadi nel panico perché quella pagina lì non sai neppure di che parla.

Il padre di ieri sembrava un marziano. Colmava le sue carenze con la distanza. Non c’era, non parlava, decideva senza discutere. Magari era uno stronzo, ma non avevi – come figlio – neppure la possibilità di indagare, come con quelle donne misteriose che proprio per questo t’intrigano e le ami. Senza speranza.

Oggi no. Sei lì, con quel senso permanente di inadeguatezza, a guardare quei piccoli mostri che t’interrogano con lo sguardo ad ogni passo. E tu non sai niente. Non sai giocare, non sai comandare, sei pieno di dubbi da condividere e senza nessuna certezza da regalare. E quando crescono, è pure peggio. Il meglio che ti capita è che – ogni tanto – ti raccontino i fatti loro. Che tanto, o non capisci o non riesci ad ascoltare.

Fare il padre è una cosa bellissima. Ogni volta che tuo figlio ti sorride, o ti guarda negli occhi, o ti chiede di accompagnarlo fuori a giocare. Ogni volta che tua figlia ti racconta qualcosa. Loro non capiscono quanto puoi amarli, anche così, con la tua inadeguatezza di uomo contemporaneo privo di certezze, pieno di dubbi, senza un futuro certo da indicare e con un presente spesso da dimenticare.

Non riesci a capire che spesso tu fai il padre e non te ne accorgi. Quando c’azzecchi, perché sei onesto, comprensivo, concentrato, dolce. E quando sbagli, perché sei ottuso, aggressivo, incapace di ascoltare e di parlare. Non te ne accorgi, ma stai facendo, bene o male, il padre.

Quando ero piccolo, mio padre mi spiegò un giorno che avrei capito il mestiere di padre soltanto quando, diventato grande, avrei aspettato i miei figli tornare la notte. E quando li avrei guardati dormire, in silenzio, la notte, con il cuore pieno di tenerezza e tante domande senza risposta, da regalare a loro.

“Ho preso dai figli moltissimi vizi: succhiarmi le dita, sapere che questo è un sapore da amare. Guardare la luna dall’angolo retto, sporcarmi, pulirmi, ripetere sempre le stesse parole che aspetto.” (R.Vecchioni)

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