I terroristi Isis e la loro assurda fissazione sulle vergini, il porno e le scarpe Nike

01/08/2016 di Redazione

Said Ramzi è lo pseudonimo di giornalista francese che ha ritratto in modo molto veritiero cosa passa per la testa dei jihadisti presenti in Europa. Con questo nome, da musulmano, si è infiltrato per quattro mesi, con una telecamera nascosta, all’interno degli aspiranti terroristi che organizzano attentati in Francia. Descrive bene il loro mondo e nella sua intervista a L’Espresso c’è una cosa che colpisce molto. L’azione al martirio è in realtà spinta non dalla fede in Allah ma dalla promessa di vergini. La donna è una ossessione costante nella mente dei terroristi. La loro visione sul mondo femminile? Distorta, maniacale e sessista.

Riporta L’Espresso:

«Quando lo incontro, Oussama è terribilmente solo. All’inizio mi parla del paradiso, di cose piuttosto folli, in particolare riguardo alle donne, ricorda il giornalista. «Afferma che uccideremo dei francesi e che prenderemo le loro donne come schiave» Said gli domanda se secondo lui sia giusto avere degli schiavi. Oussama risponde che è un loro diritto, «e aggiunge che grazie a noi, diventeranno musulmane e accederanno al paradiso».

Il rapporto col sesso femminile è un tema che ha incrociato in continuazione nel corso dell’inchiesta. «Sono rimasti bloccati a quello stadio là, quando sei adolescente e hai voglia di avere tutte le donne per te». I militanti dello Stato Islamico che ha conosciuto «sono delle persone che hanno visto dei film porno e si sono immaginati al posto dell’attore protagonista. Quando Daesh ha promesso loro che avrebbero avuto tutto ciò nella forma del paradiso prêt-à-porter affollato di vergini, o “houri” è stato un successo immediato».

A detta di Said, «la religione per loro è solo un pretesto. Se ne fregano alla grande, della religione. Te lo dicono anche, senza rendersene conto. Se credono in Allah, è solo perché Allah gli ha promesso le vergini. E basta. Credono di rispettare la religione, ma non hanno né rispetto, né religione».

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Tra i jihadisti che attaccano le città occidentali non c’è nulla di religioso né ligio ai doveri previsti dalla cultura islamica. Solo consumismo, capitalismo e il sogno di uno status spesso negato:

«Nei gruppi online», assicura Said, «si scambiano le foto dei vestiti di marca, è tutto un Nike di qua, un Gucci di là, sognano di macchine di lusso…». I loro riferimenti culturali sono quelli del consumo all’ingrosso e all’ingrasso tipici dei videoclip delle star del rap francese. Una cultura e uno stile teoricamente rifiutati in toto e, tuttavia, ampiamente riprodotti: un altro paradosso dei “soldati di Allah.”

Nondimeno, l’antinomia forse più intrigante è che l’immaginario dello Stato Islamico non seduce solamente gli uomini. Durante l’inchiesta, Said ha potuto incontrare molte ragazze, per lo più minorenni. Quelli dello Stato islamico «hanno cercato di farmi sposare quattro volte in quattro mesi», dice l’infiltrato. Gli incontri avvenivano sempre via Internet. «Una di loro mi ha chiesto di diventare il suo walîy (il suo “tutore”).” Ogni volta che la ragazza doveva recarsi a un appuntamento, «mi chiedeva l’autorizzazione via messaggio».

Altri militanti dovevano portarla in Siria, racconta Said, ma alla fine lei non si è unita a loro. Quando gli agenti di polizia li hanno fermati alla frontiera, hanno trovato un passaporto falso con la sua foto. «L’ultimo messaggio che mi ha mandato è stato quello in cui mi chiedeva se poteva recarsi dal giudice. Le ho detto di si. Non ho mai più avuto notizie. Aveva solo 17 anni».

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