Genova 2001: quindici anni passati inutilmente. E quella legge rinviata sine Diaz

20/07/2016 di Boris Sollazzo

Genova 2001. Fa ancora male, ovunque, quando leggi queste sei lettere e quattro numeri. Perché non passa quel dolore, quella rabbia, quello stupore. Sì, perché puoi ricordare a tutti e ricordarti che l’Italia è il paese delle stragi di stato, di Ustica, degli omissis sporchi di sangue. Puoi pure importi di non aspettarti nulla da uno stato che negli stadi, nelle piazze, a volte anche solo durante una passeggiata, a piedi o in auto, invece di proteggerti, ti manganella e umilia.

Puoi fare tutto questo, ma se poi invece di andare in vacanza, giovane e idealista, vai in quella città meravigliosa e trovi divise su corpi come i tuoi che però hanno armi lucide e occhi troppo piccoli e vitrei per non far paura, allora qualcosa dentro di te si spegne. Il sorriso figlio di un concerto e di una manifestazione in cui hai ballato con preti, rasta e maturi manifestanti, la speranza di un mondo diverso e possibile. Sì, possibile perché ora è peggiore.

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Genova 2001 è la storia di una generazione picchiata a morte due volte. La prima su quelle strade, con quel proiettile nella testa di Carlo Giuliani, alle 17.27 del 20 luglio 2001, nella scuola Diaz la notte dopo (oggi guardate il bellissimo e durissimo film di Daniele Vicari, Diaz: per non dimenticare, per non far finta di niente). La seconda nella costante mistificazione di ciò che successe in quei giorni, nelle calunnie a Carlo (ma anche al suo migliore amico Edo Parodi: morto sei mesi dopo, la notte seguente a una manifestazione condita di fumogeni illegali a Zurigo, contro il Wto: quel ragazzo straordinario fu oggetto per mesi di bugie mediatiche), nella politica che prima ha negato una commissione d’inchiesta, poi ha sepolto nella nostra memoria storica quei momenti, infine, ancora ieri, continua a rinviare sine Diaz, pardon sine die, l’accoglimento nell’ordinamento del reato di tortura. Che aspettiamo tutti da 15 anni. Anzi no, da 27, visto che il pentapartito (parliamo di Ciriaco De Mita, non di Salvador Allende o Thomas Sankara), nel 1988, al governo recepì la convenzione delle Nazioni Unite in materia.

Se Matteo Renzi vuole rottamare qualcosa, rottami quel passato in cui sangue, cariche politiche, alti gradi delle forze dell’ordine e insabbiamenti hanno umiliato una generazione, la sua. Non permetta che riaccada. Non faccia sì che la legge possa coprire chi vorrà rifarlo.

E sì Matteo, spetta a te. Non eri a Genova in quei giorni (o forse sì, ma non l’hai mai detto, in caso), ma avevi 26 anni allora: quella voglia di cambiare le cose, di rovesciare le gerontocrazie, persino le riforme, che a parole ci offri sempre, saranno nate da quei giorni, da quegli anni in cui ci siamo illusi, ostinati fino al 2003 in cui in milioni fummo ignorati nella nostra richiesta di pace, di poter cambiare il mondo.

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Ora siamo qui, piegati dal precariato a un’esistenza vissuta giorno per giorno (anzi, pagamento giornaliero per pagamento giornaliero, ovviamente almeno a 150 giorni dalla prestazione di lavoro) e da un pianeta convinto che gli Erdogan, i bombardamenti su civili di nazioni esportatrici di democrazia, gli attentati sian cose normali. E non abbiamo neanche un reato sacrosanto, quello di tortura, a proteggerci da uno dei più ignobili tra i delitti.
Noi, che minacciamo Erdogan di escluderlo dai giochi che contano se reinserirà la pena di morte, permettiamo ai nostri cani da guardia del potere (con tutto il rispetto per i veri cani poliziotto, loro sì sempre ligi alle regole), a chi dovrebbe essere il nostro angelo custode, di infrangere la legge con la scusa di farla rispettare. E abbiamo permesso 15 anni fa la deportazione di centinaia di persone oltreconfine, cittadini europei, il sequestro in caserme e ospedali per ore e giorni di altre centinaia di uomini e donne, il pestaggio costante e indiscriminato, fermi e arresti arbitrari, umiliazioni sessuali, morali e fisiche di tanti altri.

Per tacere appunto della scuola Diaz: senza prove, senza indizi, se non quelli seminati post irruzione, un centinaio di ragazzi e ragazze sono stati brutalizzati. Tanto che persino uno di quelli che la guidavano, ha parlato di “macelleria messicana” (e non era Istanbul 2016, ma Genova 2001, lo ricordiamo ai più distratti).
Nonostante questo, se fate la somma degli anni di pena collezionati dalle vittime e quella delle condanne subite dai carnefici, scoprirete che solo su quel campo le prime hanno vinto a Genova.
Luigi Zanda, capogruppo dem al Senato, afferma che “faremo di tutto perché il testo torni in aula e venga approvato prima della pausa estiva, ma dobbiamo valutare la maggioranza che sostiene il ddl, vogliamo sia la più larga possibile“. Ipocrisie da realpolitik, tutto è nell’opposizione di Angelino Alfano, che con i suoi no piccoli piccoli (vedi quello alla stepchild adoption) pensa di allargare il suo elettorato in estinzione. “Il testo va rivisto alla Camera – ha detto il ministro dell’Interno (o dell’Inferno come lo ha definito in un lapsus una collega su Coffee Break a La7) – non si può lanciare un messaggio fuorviante alle forze dell’ordine“.

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Già, il messaggio meglio lanciarlo, forte e chiaro, al popolo. A una generazione. Non dandogli il reato di tortura. E magari chiudendo, poco settimane or sono, un processo su un poliziotto che si finse accoltellato alla Diaz, 15 anni fa, con una condanna al pagamento di una multa di 47 euro.

Tanto vale la nostra dignità, 47 euro. Mettiamocelo bene in testa.

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