L’eredità di Barack Obama in 7 domande

23/05/2016 di Lorenzo Buccella

Si sta per concludere la presidenza, in due mandati, dell’uomo che ha cambiato l’immaginario del Potere. E forse non solo quello. Proviamo ad analizzare l’eredità che lascia. Agli Stati Uniti e al mondo.

1) UNA PRESIDENZA STORICA

BARACK OBAMA, SPERANZA O DISILLUSIONE?

Il 4 novembre del 2008. La storia darà i suoi giudizi complessivi, ma di certo quella data rimarrà legata a una delle elezioni più importanti degli Stati Uniti. La forza dirompente del simbolo, il tabù che si frantuma e per la prima volta la Casa Bianca diventa residenza di un presidente proveniente dalla minoranza afroamericana. È il risultato di una lunga ondata politica ed emotiva: una partenza da outsider, la rete che consolida la candidatura, la vittoria contro Hillary Clinton alle primarie e poi contro il repubblicano John McCain nello scontro finale. Consenso popolare altissimo, grandi speranze e di conseguenza anche alte aspettative. E inevitabilmente l’azione di governo che non può ricalcare il “we can” del suo slogan. Tra promesse che vengono mantenute, ma spesso in versione rimpicciolita e alcuni obiettivi mancati come, ad esempio, la chiusura di Guantanamo continuamente rimandata. E allora la domanda resta in campo: sono più le disillusioni per le speranze tradite oppure le speranze iniziali sono state il combustibile e il sacrificio senza i quali gli Stati Uniti non sarebbero usciti dal pantano delle crisi politiche ed economiche in cui versavano nel 2008.

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2) UN NUOVO INIZIO ECONOMICO

SALVATORE O TRAGHETTATORE?

Nel 2008 il peso della crisi economica-finanziaria, innescata nel 2006 dallo scandalo subprime, è ancora oneroso. A fine anno, la disoccupazione è al 6,7%, l’anno successivo sprofonda fino al 7,2%. Ma da lì in poi le cose cambiano e oggi l’economia americana sbandiera fiducia, sia a Wall Street che a Main Street. Tuttavia il presidente che adesso dice “non c’è nazione più in salute degli Usa” è lo stesso che ha percepito la crescita vorticosa di quel mondo asiatico con cui preferisce mostrarsi amico e attivare accordi commerciali che alla lunga potrebbero diventare boomerang per l’economia nazionale. In altre parole: Obama ha contribuito a ridare solide fondamenta all’economia americana oppure, nonostante la ripresa, nei fatti, ha decretato la fine della centralità della sua economia nel mondo? È un salvatore oppure un più semplice traghettatore verso un nuovo ordine mondiale in cui l’America perde posizioni?

3) LA LOTTA AL TERRORISMO

ISOLAZIONISTA O ATTIVISTA DIPLOMATICO?  

Cinque anni fa, la morte di Osama Bin Laden diventa l’euforia di una nazione e il picco di Obama nella lotta al terrorismo. Ma per il resto, niente nuove guerre. L’opzione diplomatica a far da bussola, gli interventi solo se multilaterali, con il rischio di lasciare a figure come Putin luci e palcoscenico. Con Obama, insomma, l’America non vuol più essere “gendarme del mondo”. Un danno per quell’egemonia democratica pronta a risolvere le crisi in ogni angolo del mondo? Oppure il recupero d’immagine di un paese che aveva perso credibilità e reputazione dopo guerre sbagliate e scandali come quello del carcere di Abu Grahib? In altre parole: Obama ha sterzato verso una politica isolazionista che però ha favorito l’avanzata dell’Isis oppure, diminuendo tanti focolai antiamericani in altre parti del pianeta, ha impedito che i fronti irritati si moltiplicassero, anche al di là del Medio Oriente?

 

4) IL DIALOGO COL NEMICO

MIOPIA O LUNGIMIRANZA?

La flessibilità in politica estera è una dote oppure il suo carattere ondeggiante non fa che evidenziarne ambiguità e insicurezze? In tanti fanno risalire all’estate del 2011 uno dei momenti chiave della presidenza. Obama minaccia la Siria di non superare la “linea rossa” delle armi chimiche, ma, nonostante l’ultimatum, alle parole non seguono azioni. Quando tutti credono alla guerra, il presidente blocca i suoi e spiazza il mondo. Così come spiazzante è stata la sua volontà di intavolare dialoghi con i grandi nemici storici, ottenendo risultati altrettanto storici. Con Cuba riavvia i rapporti che erano rimasti congelati per oltre mezzo secolo e lo fa accordandosi con la sponda castrista. Con l’Iran chiude un accordo sul nucleare che dà garanzie nel presente ma più di un dubbio sulle prospettive future. Adesso c’è il divieto per la costruzione di bombe atomiche, ma tra dieci anni si avranno le stesse certezze? È più la lungimiranza o più la miopia?

 

5) I DIRITTI CIVILI E SOCIALI

CORAGGIOSO O VELLEITARIO?

Non poteva certo bastare Obama per debellare il razzismo negli Stati Uniti. Ed episodi di violenza a sfondo razziale si sono ripetuti anche in questi 8 anni, aggravati dall’enorme quantità di armi private in circolo nel paese. Proprio quelle contro cui Obama si è scagliato a più riprese, senza trovar mai la forza politica per far passare le severe restrizioni che auspicava. Una battaglia contro il potere delle lobby e un Congresso non sempre amico che invece è riuscita per la sua riforma più radicale, quella sanitaria, in grado di estendere le possibilità di cure a circa 20 milioni di americani. E se al securitario “Patriot Act” di Bush ha fatto seguito l’obamiano “Freedom Act” volto a limitare le ingerenze dell’intelligence nella privacy dei cittadini, è proprio in questo periodo che le rivelazioni di Snowden tirano fuori lo scandalo delle intercettazioni della NSA. Tante iniziative, tanti chiaroscuri: da una parte, c’è la volontà di un uomo che si è speso per cercare di allargare il perimetro dei diritti basilari, dall’altra le battaglie in loro nome che, pur se animate da buone intenzioni, spesso sono andate incontro a sconfitte. È più il coraggio a segnare l’eredità di Obama oppure le azioni che si sono rivelate velleitarie?

 

6) IL CAMBIAMENTO CLIMATICO
ECOLOGISTA O CALCOLATORE?

 

Obama non ne ha fatto mai mistero: in cima alla lista dei suoi nemici più pericolosi, ci sono i cambiamenti climatici e le loro conseguenze. Per questo si è prodigato perché gli Stati Uniti, durante il summit sul clima del 2015, lavorassero in prima fila per arrivare all’accordo finale. La riduzione della temperatura entro la fine del secolo è un’intesa che conferisce prestigio nel presente ma che è tutta da verificare nel futuro. Intanto, però, grazie a questa vocazione ecologica, Obama stringe persino un accordo con la Cina, mantenendo – indirettamente – voce in capitolo su quelle regioni del mondo il cui forte sviluppo dovrà – da adesso in poi – conciliarsi con le nuove esigenze anti-inquinamento. Da lì, la domanda che porta a un bivio dagli accenti diversi: per Obama, l’ecologia è davvero un modo per migliorare gli Stati Uniti e il mondo oppure è un vettore strategico per mantenere – da buon calcolatore – una propria influenza laddove la crescita si profila come impetuosa e quindi potenzialmente concorrente?

7) IL PARAGONE COL PASSATO E COL FUTURO 

AGGRAVANTE O CONSOLAZIONE?

Il prossimo 8 novembre gli americani eleggeranno il loro 45° presidente degli Stati Uniti che entrerà nel pieno delle funzioni il 20 gennaio 2017. Ma che la scelta ricadrà su Hillary Clinton oppure sul più che controverso Donald Trump, per molti analisti è chiaro: la qualità poco entusiasmante dei due possibili successori farà crescere la nostalgia per Obama. Se a questo aggiungiamo che l’ascesa di Obama nel 2008 aveva trovato un trampolino di lancio formidabile nei disastri del predecessore George W. Bush, i confronti tra passato e futuro sembrano viaggiare nella stessa direzione. E cioè a tutto vantaggio di Obama. Il che spinge a un inevitabile appunto: è una consolazione venir considerati positivamente, perché il prima e il dopo sono stati peggiori oppure può essere addirittura un’aggravante, visto che in questa costellazione storica favorevole un grande presidente avrebbe potuto e dovuto fare di più e non lasciare un lavoro così incompiuto?

 

 

 

 

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