Regeni, nell’ex casa di Giulio tra timori e silenzi

03/05/2016 di Redazione

Al Cairo, nell’appartamento che fu di Giulio Regeni vive un gruppo di studenti, anche loro europei. Con un reportage di Pierfrancesco Curzi è il Fatto Quotidiano a tornare in Egitto nella casa dove abitò il ricercatore italiano ucciso, a tre mesi dal ritrovamento del suo corpo martoriato. C’è ancora paura: «Per prima cosa mi hanno raccontato della sua morte», racconta una ragazza olandese.

 «NELLA CASA DI GIULIO REGENI ABBIAMO PAURA»

Una ragazza mediorientale apre la porta al cronista del Fatto e rivela che era quella la casa, in via Yambo nel quartiere Dokki al Cairo, dove Giulio visse fino alle 19.45 del 25 gennaio scorso:

 «Si apre una porta in fondo al vano principale, è la ragazza tedesca che per mesi ha diviso l’appartamento con Giulio. È terrorizzata, chiude in fretta la porta per socchiuderla un minuto dopo, nella speranza che non ci sia più nessuno in casa. Arriva l’inquilino-affittario: “Non abbiamo nulla da dire, porti rispetto”. Nervoso, più che ostile, agitato. Con un sorriso amaro, chiede di uscire e lasciarli in pace. L’unica cosa certa è che la stanza di Giulio è stata affittata, c’è una ragazza al suo posto. La vita va avanti», si legge.

Il Fatto descrive quel palazzo al civico 8, con un pianerottolo esterno, ombreggiato da rampicanti, un ampio vano interno, delle strette scale:

«Alcuni residenti, che vivono nell’appartamento al pian terreno, discutono bevendo tè. Sul retro, pareti senza intonaco e i resti di un cantiere. Proprio durante la scomparsa di Regeni, quel cantiere era attivo, ora restano i segno di una discarica. […] Due i negozi aperti (vicino alla casa, ndr), uno è una farmacia: “Conosco bene quanto accaduto al vostro connazionale, una tragedia per tutti. Ci porterà molti guai. Vedevo spesso passare Giulio, è entrato solo una volta, doveva cambiare 50 lire egiziane. Sorrideva, era gentile”. Giulio la sera del 25 gennaio doveva arrivare a Tahrir, con la metro. La fermata Sadat era chiusa, si celebrava l’anniversario della rivoluzione. C’era tensione la polizia aveva blindato il centro. Così Giulio era stato costretto a scendere alla fermata successiva, El Naguib, per poi tornare a Tahrir, dove doveva attenderlo Mohamed Abdallah, leader del sindacato degli ambulanti. Il tabulato del telefonino di Giulio, mai ritrovato, racconta il suo percorso. Servirebbero le registrazioni delle celle telefoniche e delle telecamere di sicurezza, ma il governo al-Sisi non ci sente da quell’orecchio. Questione di sicurezza nazionale, inoltre andrebbe contro la Costituzione egiziana»

Il Fatto ha ripercorso la strada fatta da Giulio in quell’ultimo quarto d’ora. Quel percorso è il frutto del lavoro d’indagine: potrebbe però non essere stato quello di Regeni se quanto registrato dal telefonino fosse stato indotto, con il telefonino nelle mani di altri. Non un’ipotesi improbabile, secondo il quotidiano. Il corpo di Giulio è stato ritrovato la mattina dopo, il 3 febbraio intorno alle 10, otto giorni dopo, a 20 chilometri dal centro del Cairo.

Ahmed Abdallah, numero uno della Commissione per i diritti e le libertà, una ong che ha seguito il caso Regeni, è finito in manette, accusato di terrorismo. Ora rischia una condanna durissima, riporta il Fatto. Mohamed Lofty, numero due della ong, attacca:

«Ormai è chiaro, è stato preso dai servizi all’uscita dalla metropolitana e portato alla stazione di polizia di Izbayeka, quindi al ministero dell’Interno e della Sicurezza nazionale. Infine le torture in una caserma di Giza e l’abbandono del corpo a due passi da un campo delle forze di sicurezza. Qualcuno lo ha venduto perché scriveva del regime, gli hanno clonato il telefono per seguire meglio gli spostamenti, i contatti. Credo i servizi abbiano collegato Regeni a qualche gruppo sospetto, magari lo immaginavano vicino ai Fratelli Musulmani. Giulio non era pericoloso, purtroppo oltre a lui ci sono altri due casi di egiziani rapiti e trovati morti. La scelta del ritrovamento del corpo, il 3 gennaio, durante la visita della vostra delegazione (con a capo l’ex ministro Guidi, ndr) non è un caso», si legge.

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