Giulio Regeni, sempre più omicidio di Stato

11/04/2016 di Redazione

Dalle indagini sulla morte di Giulio Regeni, il ricercatore italiano scomparso dal Cairo il 25 gennaio e trovato senza vita con segni di tortura nove giorni dopo, emergono almeno due certezze che inchiodano gli apparati di sicurezza egiziani e qualificano l’uccisione come omicidio di Stato. Ne parlano Carlo Bonini e Giuliano Foschini su Repubblica.

GIULIO REGENI, IL CELLULARE AGGANCIATO ALLA RETE DELLA METRO

La prima riguarda il luogo in cui lo studente è stato arrestato. Giulio Regeni non sarebbe stato fermato nei pressi della sua casa:

Per otto settimane, è stata data per acquisita la circostanza che Giulio sia stato sequestrato nei cento passi che dividevano la sua abitazione e la fermata della metropolitana di Dokki. Ma, da venerdì sera, il quadro appare significativamente cambiato. È certo che alle 19.59 del 25 gennaio il cellulare di Giulio aggancia la rete dati del metrò. Questo significa che Giulio era all’interno della stazione e, a meno di non voler immaginare un sequestro nella folla o su uno dei vagoni del metrò, sia regolarmente salito su uno dei convogli che lo hanno portato alla fermata di piazza Tahrir, dove, in un bar, aveva appuntamento con il suo amico Gennaro. La certezza che Giulio sia salito sul metrò la potrebbero dare le registrazioni delle 56 telecamere di sorveglianza della stazione di Dokki ma, curiosamente, gli inquirenti egiziani sostengono che la sera del 25 fossero fuori uso. Tutte. Tranne una. Puntata su una delle sei scale mobili di accesso. E tuttavia, aggiungono, il nastro della registrazione, è sovrascritto e potrebbe essere ripulito solo da esperti tedeschi cui, ovviamente, il nastro non è stato ancora messo a disposizione.

Regeni la sera del 25 gennaio, quinto anniversario della Rivoluzione, da Dokki è probabile sia arrivato a piazza Tahrir. Ma mancano anche le immagini delle telecamere dell’altra stazione, e non  chiaro se fossero fuori uso o meno. Nella piazza secondo fonti ufficiali quella sera sono stati arrestati 19 egiziani e uno straniero. E non è escluso che quello straniero sia proprio il ricercatore italiano.

GIULIO REGENI, L’ARRESTO SU UN GIORNALE LOCALE DEL 25 GENNAIO

La seconda certezza riguarda invece gli autori del fermo. Il responsabile sarebbe il capo della Polizia di Giza, il generale Khaled Shalaby. Di lui parla l’articolo di un giornale locale (‘Veto’) del 25 gennaio che racconta dell’arresto di uno «straniero in un caffè». Bonini e Foschini su Repubblica riportano quanto scritto dal giornalista Manal Hammad:

Leggiamo: “Il generale Khaled Shalaby ha affermato che sono in corso accertamenti su un individuo di nazionalità straniera arrestato all’interno di un caffè. Lo straniero si trova nella questura di Giza, nella zona di Al Bahr Al Azam. Shalaby ha dichiarato a “Veto” che gli agenti della questura lo hanno arrestato in seguito ad una segnalazione di un cittadino a proposito di un individuo che parla coi giovani e con i cittadini in una lingua araba approssimativa, impiegando anche termini stranieri. È stato accertato che è straniero e cerca di mobilitare e indurre a scendere in piazza in occasione della ricorrenza della rivoluzione del 25 gennaio, fatto che ha portato a un alterco verbale tra lui e un cittadino a seguito del quale è stato denunciato alla polizia e arrestato. Nel confronto con gli uomini del Dipartimento investigativo, il giovane straniero ha negato di avere incitato i giovani ad opporsi allo Stato, ha sostenuto che i suoi spostamenti nelle zone popolari d’Egitto gli servono per imparare il dialetto egiziano. È stato redatto un verbale dell’accaduto ed inviata una comunicazione alla Procura”.

GIULIO REGENI, SULLA TV EGIZIANI LA DIFESA DEL REGIME DI AL SISI

Intanto in Egutto la crisi tra Roma e Il Cairo riaccende il nazionalismo. Mentre sui social network la vicenda di Giulio Regeni viene brandita in chiave anti-regime, in tv gli anchorman chiamano il popolo alla difesa del Paese sotto attacco. Ne parla sulla Stampa l’inviata Francesca Paci:

«Non è vero che l’Italia ha chissà quali informazioni, rilancia quello che gli passano i traditori egiziani», ripete dagli studi dell’emittente «Sada al Balad» Ahmed Mousa, il giornalista considerato vicino al ministero dell’Interno. Per ora i suoi strali non sono diretti a Roma ma in casa, contro colleghi come Youssef Al Hossainy di «OnTv», che dopo il sostegno iniziale al presidente al Sisi ha assunto posizioni più critiche anche riferendosi alla vicenda del ricercatore friulano, e contro Mona Saif, la sorella dell’attivista incarcerato Alaa Abdel-Fattah che per prima ha tirato in ballo il nome del generale Khaled Shalaby. Il portavoce del ministero degli Esteri egiziano, Ahmed Abou Zeid, accusa invece l’Italia di «sfruttare il caso Regeni per questioni interne».

(Foto di copertina: ANSA / MASSIMO PERCOSSI)

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