Giulio Regeni, perché è saltato tutto

La famiglia di Giulio Regeni si dice amareggiata, ma forse amareggiato non è il termine più giusto per spiegare cosa si può provare a essere – proprio malgrado – protagonisti di una farsa, proprio come quella andata in onda in questi giorni fra i pm italiani e quelli egiziani, “impegnati” a indagare sulla morte di Giulio Regeni.

GIULIO REGENI E LE INDAGINI

Una farsa interrottasi ieri per sopraggiunta disperazione, quando i pm italiani hanno unilateralmente “interrotto” una collaborazione che per gli investigatori egiziani sembrava più una vacanza, richiamando l’ambasciatore in Egitto e facendo sapere di non essere molto felici di quanto accaduto, e di voler comunque continuare a indagare sulla morte di Giulio Regeni. Già, ma cosa è accaduto? Oggi i giornali sono ricchi di retroscena più o meno pittoreschi, più o meno grotteschi, su quanto abbia spinto l’Italia a prendere questa decisione. Ieri dopo il consiglio dei Ministri Renzi ha detto: “Lo facciamo perché abbiamo fatto una promessa alla famiglia Regeni“. In realtà è anche una questione di decenza.

GIULIO REGENI E LA BEFFA DEGLI EGIZIANI: «NIENTE TABULATI, C’È LA PRIVACY»

Perché, come spiega Carlo Bonini sul quotidiano La Repubblica, al di là delle parole dal Cairo non sembra esserci alcuna volontà di collaborare. Altro che duemila pagine di dossier, si legge:

Ne avevano portate neppure una trentina. Gli inutili tabulati telefonici di Gennaro e Francesco, gli amici di Giulio. L’altrettanto inutile verbale di ritrovamento del suo cadavere. Il grottesco verbale con cui, un testimone, riferiva che “non erano state fatte riprese della riunione sindacale dell’11 dicembre 2015”, quella in cui Giulio era stato fotografato. Fuffa. Tocca allora a Pignatone, dopo un profondo respiro, chiedere di nuovo quanto era stato promesso dalla Procura generale egiziana: lo sviluppo della cella telefonica del quartiere di “Dokki” (luogo della scomparsa di Giulio) tra le 19,45 e le 20.15 del 25 gennaio e di quella, tra la notte del 2 e la mattina del 3 febbraio, del quartiere “6 Ottobre” (zona del ritrovamento del suo corpo). Ma solo per sentirsi rispondere che quei dati non saranno mai consegnati “per ragioni di privacy “

 

GIULIO REGENI, LE RISPOSTE BLUFF DEGLI INQUIRENTI EGIZIANI

Ma non solo. Scrive lo stesso Bonini come non sia andato meglio con le richieste sui tabulati:

«Ne aveva chiesti una ventina la Procura. Due su tutti. Quelli di Mohamed Abdallah, capo del sindacato degli ambulanti risentito con Giulio per il denaro di una ricerca non andata in porto. E quelli di Mohamed, il coinquilino di Regeni. Quello che aveva aperto alla Sicurezza Nazionale la casa dove Giulio viveva, tacendogli la circostanza. Ma neanche quelli sono nella borsa dei 6 del Cairo. “Magari, allora, avete le informazioni su quei due nomi arabi che vi abbiamo chiesto il 14 marzo… “, abbozza uno dei nostri inquirenti, riferendosi a due singolari chiamate ricevute da Giulio la mattina e il pomeriggio del 25 gennaio, giorno della sua scomparsa, da due cellulari intestati a cittadini egiziani. “Non abbiamo ancora completato l’identificazione “, è la risposta», si legge

Altre scuse e bluff per le immagini dell’unica telecamera video funzionante nella metropolitana di Dokki nella sera del 25 gennaio: perché, spiega Repubblica, il video – che non è detto riprenda Regeni nel metrò – è sovrascritto. E non è ancora stato ripulito, nonostante due mesi di tempo. Al contrario, gli egiziani hanno ripreso la pista farsa della Banda dei 5. Ovvero dei «cadaveri “serviti” come gli assassini di Giulio».

Le domande degli italiani si fanno spazientite. “Perché dei rapinatori avrebbero dovuto torturare Giulio?”. “Perché avrebbero dovuto conservarne i documenti?”. “Stiamo approfondendo”, è la risposta.

 

Tradotto, nessuna risposta utile. Così è saltato tutto.

Share this article