L’Aquila: a 7 anni dal terremoto le New Town cadono a pezzi

06/04/2016 di Redazione

Sono passati sette anni dal terremoto che devastò L’Aquila, la notte tra il 5 e il 6 aprile 2009. Un sisma che provocò 309 morti e 16 mila sfollati. Ancora oggi sono circa 9mila le persone che non hanno una casa. Per chi l’ha ottenuta, nelle 19 New Town realizzate dal governo Berlusconi, è stato un calvario. Le abitazioni costate un miliardo cadono a pezzi, come ricorda Niccolò Zancan in un reportage pubblicato dalla Stampa

L’AQUILA, VIAGGIO NELLA NEW TOWN DOVE CROLLA TUTTO

Si staccano balconi, pezzi di soffitto. Spesso le autorità sono costrette a mettere sotto sequestro terrazze, scale, interi piani. In gran parte i residenti sono ormai sono andati via, rassegnati. Ma, c’è chi resiste tra rabbia e desolazione. Lì, in quei 4500 prefabbricati antisismici del “progetto Case“. Abitazioni dislocate nella periferia aquilana, sponsorizzate dall’esecutivo Berlusconi, con un progetto allora affidato in regime d’emergenza alla Protezione Civile di Guido Bertolaso. L’x sottosegretario ora candidato alle Elezioni Roma 2016 con Fi. Ricostruisce Zancan sul quotidiano piemontese:

Molti se ne vanno, qualcuno resiste. «E dove devo andare?» dice il pensionato Angelo Cerasoli, uno degli irriducibili della frazione Arischia. «Io e mia moglie siamo nati in questo paese. La nostra casa non è mai stata ricostruita, è rimasta identica alla notte di sette anni fa». Qui tutti gli alloggi del famoso «Progetto C.a.s.e» sono già stati dichiarati inabitabili, cioè pericolanti. L’Aquila è crollata nel terremoto del 2009, ma continua a sgretolarsi giorno dopo giorno sotto il peso della ricostruzione mancata.

 

Forse era già tutto in quella risata intercettata proprio nella notte fra il 5 e il 6 aprile, finita agli atti dell’inchiesta «Grandi Opere», con l’imprenditore Piscicelli che scherzava con il cognato Gagliardi: «Oh, occupati di ’sta roba del terremoto perché qui bisogna partire in quarta subito… Non è che c’è un terremoto al giorno». Era già tutto nella falsa commozione dell’ex prefetto Giovanna Iurato, anche lei intercettata in un’altra inchiesta mentre rideva delle sue finte lacrime per i bimbi sotto le macerie. Non esiste un altro posto in Italia dove misurare così bene la distanza fra le parole, la politica e la realtà.

 

L’AQUILA, LA RICOSTRUZIONE SBANDIERATA E LE INCHIESTE

Di certo non sono mancate le inchieste. Ma è arrivata soltanto una sentenza definitiva su oltre 20 processi legati alle vittime del sisma, ricorda la Stampa:

Riguarda il crollo del Convitto Nazionale, dove morirono tre studenti minorenni: Luigi Cellini, Ondreiy Nouzovsky e Marta Zelena. Ma così come è stata terribile la notte delle scosse, lo è altrettanto tutto quello che è successo dopo. La Procura dell’Aquila ha dovuto aprire circa duecento fascicoli legati alla ricostruzione. Si va dalle infiltrazioni mafiose dei casalesi – ovvero Gomorra al lavoro qui – alle tangenti sugli appalti e turbativa d’asta per le forniture. Quanti affari sulle rovine dell’Aquila, quante risate.

 

L’AQUILA, LO STATO PRECARIO DELLE CASE DELLE NEW TOWN

Tutto mentre le abitazioni del “Progetto Case” continuano a cadere a pezzi, non in grado nemmeno di reggere la pioggia. Trentasette sono stati gli indagati per frode, truffa aggravata ai danni dello Stato, falso in atto pubblico, tra imprenditori, progettisti, collaudatori, tecnici e dirigenti comunali. Con l’accusa di aver realizzato le strutture con materiali scadenti. Così in molti devono cambiare ancora casa:

È incredibile quello che succede ad Arischia. I residenti degli alloggi dichiarati inagibili, stanno per essere sistemati nelle cinque palazzine vuote dell’insediamento «M.A.P», un altro lotto della ricostruzione. E perché sono vuote? Perché erano state dichiarate inagibili tre anni fa. «Ma se non altro non c’è il balcone, se non altro sono più basse», scherza amaramente la signora Federica Capannolo. Il comune dell’Aquila ha già investito 4 miliardi e 400 milioni nella ricostruzione. «Il centro è stato ricostruito al 50 per cento, ci servono altri anni ma ce la faremo», dice l’assessore Pietro Di Stefano. Il problema delle ferite è che lasciano il segno, così come le umiliazioni», conclude la Stampa.

 

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