Ma al Centrodestra di Roma sembra non importare nulla

La Città di Roma vive forse uno dei momenti più difficili della sua storia. Per tutta risposta il centrodestra – invece di selezionare seriamente la miglior candidatura possibile per amministrare la città – si scinde in mille spezzoni, dando un connotato politico tutto interno alla corsa per eleggere il sindaco di Roma. Semplificando, potremo dire che il centrodestra a Roma ha trasformato le elezioni comunali in una sorta di primarie interne; più finalizzate ad una conta in vista delle prossime elezioni politiche, che in una gara per il Campidoglio.

Un crescendo di candidature: da Alfio Marchini, un candidato potenzialmente vincente con l’appoggio di tutto il centrodestra, a Francesco Storace, il candidato seriale, passando per Giorgia Meloni, la candidata in ritardo, Mario Adinolfi, il candidato cattolico, Simone Di Stefano, il candidato post fascista, Alfredo Iorio, il candidato di Msi – Fiamma e Forza Nuova, Guido Bertolaso, il candidato che nessuno vuole.

La verità è un’altra. Giorgia Meloni scende in campo solo ora sia perché è sicura di perdere (forse abbiamo esagerato prendendo in giro la Taverna ?) sia perché il suo vero obiettivo è trainare la lista di Fratelli d’Italia ad un risultato che sia il più alto possibile. Più alto sarà il risultato di Fratelli d’Italia più peso avrà Giorgia Meloni nel momento in cui si dovrà presentare al tavolo delle candidature per le prossime elezioni politiche. La sua partita – evidentemente – è tutta interna al centrodestra. Superare Bertolaso, mettendo in difficoltà Silvio Berlusconi e Forza Italia, vuol dire cambiare i rapporti di forza dentro la coalizione. Perché i tre “leader” del centrodestra italiano sanno benissimo che la coalizione – dopo questo momento di crisi – dovrà per forza di cose ricompattarsi entro il voto politico, e farlo con un Silvio Berlsconi sempre più indebolito, tanto da rinunciare alla carica di candidato premier, può voler dire schierare Matteo Salvini in contrapposizione diretta a Matteo Renzi. Un Matteo Salvini che – in maniera piuttosto furba – riesce a far giocare questo scontro fratricida a Roma, il luogo a cui lui è meno legato elettoralmente. Una partita – dal suo punto di vista – perfetta: scacco al Re (Berlusconi) utilizzando come pedina la Regina (Giorgia Meloni), mentre lui, l’altro Re, se ne rimane comodo e coperto.

Insomma, lo abbiamo scritto pochi giorni fa, e lo sosteniamo ancora con più forza adesso. Guai a toccare le primarie, come vedete si possono combinare guai anche quando a scegliere il candidato sindaco si è solamente in tre. Se il centrodestra avesse avuto la voglia e il coraggio di dar vita a delle vere primarie, alla fine della competizione ai gazebo si sarebbe ritrovato con un solo candidato, molto rappresentativo e molto competitivo. Invece, hanno scelto la strada del pastrocchio politico, designando fin da ora il ballottaggio per l’elezione a sindaco di Roma: quello tra Roberto Giachetti e Virginia Raggi. Che, sentitamente, ringraziano. I romani, per ora, basiti, guardano.

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