La sinistra che non sa perdere

«Se Matteo Renzi dovesse perdere le primarie contro Bersani uscirebbe dal partito e si presenterebbe alle elezioni con una sua lista». Questo è quanto dicevano molti dirigente – allora bersaniani – durante le elezioni primarie del 2012. Alle fine Matteo Renzi non lasciò il Partito Democratico, anche se c’era chi lo incoraggiava a farlo, non fondò un suo partito, e, pur con un po’ di mal di pancia, partecipò alla campagna elettorale del Pd, partecipando a più di un’iniziativa.

A quanto pare, invece, la cosiddetta “sinistra sinistra“, non è capace di fare altrettanto. Anzi, lavora per far vincere l’avversario, che in teoria – per chi si dice di sinistra – dovrebbe essere la destra, e abbattere il nemico interno.

Nulla di nuovo. Accadde già alla fondazione del Partito Democratico. Infatti, dopo essere andati in ginocchio da Veltroni a chiedergli di abbandonare il Campidoglio per guidare il nuovo partito, visto che la stragrande parte di loro non era in grado di presentare alcun nuovo progetto credibile per l’elettorato di centrosinistra, la classe dirigente post-comunista fece di tutto per far naufragare la segreteria dell’ex sindaco di Roma. All’epoca Massimo D’Alema fondò addirittura il partito ombra, l’associazione RED (riformisti e democratici) , per cercare di abbattere Veltroni e tornare in possesso del partito.

Oggi, siamo davanti a qualcosa di simile. Dopo la vittoria del congresso del 2013 da parte di Matteo Renzi, una parte dei suoi oppositori non ha accettato i risultati dei gazebo. Qualcuno ha abbandonato il partito, altri hanno addirittura cercato di creare i presupposti della vittoria della destra, come è successo in Liguria. Ora l’ultimo atto. Il tentativo di affondare il Grande Nemico Interno, ovvero il segretario del PD, facendo perdere ai democratici le elezioni amministrative.

Sia a Roma sia a Milano il Pd ha organizzato delle primarie per scegliere il proprio candidato. Ai gazebo hanno prevalso i due candidati in qualche modo indicati dalla segreteria: Roberto Giachetti e Giuseppe Sala. Apriti cielo. A Milano Francesca Balzani, vice di Pisapia, in un’intervista al Corriere della Sera, fa capire di non essere troppo disposta ad impegnarsi per Sala, rinunciando addirittura alla candidatura nella lista del PD. Quel che basta per cercare di indebolire il vincitore delle primarie, e, soprattutto, un tentativo evidente di aprire più spazio possibile a sinistra del PD e favorire un candidato di sinistra-sinistra.

A Roma, pare proprio che qualcuno stia cercando di organizzare qualcosa di addirittura più discutibile. Massimo D’Alema starebbe organizzando la candidatura a sindaco dell’ex ministro Massimo Bray. Ovviamente Bray non ha nessuna speranza di vincere. Al massimo farà il consigliere d’opposizione. Ma la sua discesa in campo potrebbe essere sufficiente a mettere i bastoni tra le ruote alla candidatura di Giachetti, il candidato scelto dagli elettori del PD alle primarie. Il tutto mentre il PD sembra in grado di compiere una rimonta che sarebbe comunque clamorosa. Infatti, sei mesi fa il PD a Roma era praticamente inesistente. I sondaggi una linea piatta. Ora, incredibilmente, quel ballottaggio che sembrava una chimera pochi mesi fa, sembrerebbe ora a portata di mano.

E veniamo all’intervista odierna di Massimo D’Alema al Corriere della Sera. L’ex presidente del Consiglio, quello che per salire a Palazzo Chigi fece fuori Romano Prodi, e che fu “dimissionato” dagli italiani alle regionali del 2000, benedice di fatto la candidatura di Massimo Bray, uomo legato alla sua fondazione Italiani Europei, contro il candidato del suo partito. Non contento, dopo aver tratteggiato un elogio sperticato di Denis Verdini, il sig. D’Alema disegna una crisi di consenso del Pd che è solo nel suo immaginario. I sondaggi raccontano di un Partito Democratico primo partito del paese, che governa un numero enorme di regioni, e costantemente al di sopra del risultato delle elezioni politiche del 2013. Infine, Massimo D’Alema strappa un sorriso ironico quando lancia la mozione degli affetti verso l’Ulivo, lui, uomo politico che nel passato ha incarnato l’avversione pura al progetto di Romano Prodi. E’ evidente che oggi Massimo D’Alema si mette fuori dal Partito Democratico, in pole position per lanciare un nuovo contenitore di sinistra-sinistra. Siamo curiosi di vedere quanto consenso sarà in grado di ottenere l’ex ministro degli esteri con la sua nuova creatura, se avrà il coraggio di vararla.

Per ora ci sentiamo di dire che la vecchia oligarchia del Pds non accetta di passare la mano. Quella di D’Alema & Co. è solo una lotta di potere per il potere. Con buona pace dello spirito dell’Ulivo, mai tanto amato dalle parti della corte del signor D’Alema.

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