Marco Pannella è morto, addio al Don Chisciotte della politica italiana

19/05/2016 di Boris Sollazzo

Marco Pannella è morto. Il leader radicale si è spento il 19 maggio 2016, poco dopo le due, come annunciano le agenzie. Andato via dopo una lunga malattia, Marco Pannella era stato ricoverato oggi. I medici avevano detto che per lui non c’erano speranze.

MARCO PANNELLA È MORTO

A un certo punto Marco Pannella, uno di quei nomi entrati così tanti nell’immaginario e nell’iconografia collettiva che li pronunci tutti attaccati (come nel calcio Francescototti e Diegoarmandomaradona, o nella politica Enricoberlinguer e Johnfitzgeraldkennedy), ci è sembrato eterno. Inattaccabile, capace di sopravvivere all’età, alla durezza delle sue lotte, agli scioperi della fame e della sete portati avanti anche in vecchiaia per ciò che riteneva giusto.

LE BATTAGLIE POLITICHE

Almeno 65 anni di lotte. Perché Marco Pannella da subito ha lottato per un mondo migliore. Partendo da Teramo, la città natale, già all’università, a 20 anni, si impegna prima nel partito liberale, poi nell’Unione Goliardica Italiana (nota per la sua forte impronta laica). Si laurea in legge prestissimo, nel 1950, e la folgorazione per i radicali è immediata: nel 1955 fonda il Partito Radicale Italiano, “un partito nuovo per una politica nuova”. Un movimento (ma tutt’altra faccenda rispetto a Grillo), più che un partito, che prevedeva anche la possibilità di doppio tesseramento: si poteva essere radicali e qualcos’altro. Perché la libertà, privata e pubblica, è sempre stata l’ossessione di questo combattente instancabile. Mario Pannunzio, padre de “Il mondo”, non solo un giornale ma un think tank libero e liberale, Giovanni Ferrara (zio di Giuliano, sic), Ernesto Rossi, Eugenio Scalfari: in molti lo accompagnarono in questa battaglia, molti di loro se ne andarono. Altri arrivarono – come Lino Jannuzzi, Arnoldo Foà, Stefano Rodotà, Elio Vittorini -, molti sostennero e simpatizzarono molto per quell’uomo dalla statura immensa, morale e fisica, e una dialettica incontenibile e fluviale. A lui Pier Paolo Pasolini disse (anzi scrisse, questo passo è tratto dall’intervento che lo scrittore avrebbe dovuto tenere nell’autunno del 1975 al congresso radicale: morì due giorni prima, arrivò solo il suo intervento, forse una delle più fedeli fotografie di quel movimento):

«Caro Pannella, caro Spadaccia, cari amici radicali […] voi non dovete fare altro (io credo) che continuare semplicemente a essere voi stessi: il che significa essere continuamente irriconoscibili. Dimenticare subito i grandi successi: e continuare imperterriti, ostinati, eternamente contrari, a pretendere, a volere, a identificarvi col diverso; a scandalizzare; a bestemmiare »
(Pier Paolo Pasolini, Lettera al Congresso del Partito Radicale del 2 novembre 1975)

Marco Pannella ha cambiato l’Italia. Lo ha fatto con l’aiuto di tanti militanti (tra cui la ginecologa Mirella Parachini, appassionata sostenitrice dei diritti civili, bellissima e affascinante, paziente con il suo impegno e la sua libertà sentimentale e sessuale), lo ha fatto credendo nell’impossibile. Se aborto, divorzio, libertà della ricerca scientifica e molte altre cose che han fatto diventare la nostra una democrazia moderna – mai abbastanza, purtroppo – tanto merito va alla sua lucida follia, sempre pronta a gettarsi in cause perse che ha saputo vincere (non sempre, anzi, solo a volte: ma ognuna di esse, vale una vita).

BIOGRAFIA

I suoi primi anni da radicale sono turbolenti, fallisce l’alleanza con i repubblicani nel 1958, così come la sua proposta di unione di tutte le sinistre. Da corrispondente del Giorno, nel 1960, si impegna nel sostegno attivo della resistenza algerina, a Parigi, ma torna presto in Italia vedendo la sua creatura a rischio di cannibalizzazione del PCI. Così nel 1963 assume la segreteria del Partito Radicale. E’ da qui che nasce il Pannella liberale e libertario, libertino (anche se lui sostiene che lo sarà davvero solo dal 1972) e antiproibizionista. Dal 1965 inizia un viaggio verso l’introduzione del divorzio, una guerra non violenta (la non violenza sarà il suo zenit, sempre) soprattutto culturale. Vincerà alla lunga l’egemonia culturale democristiana e cattolica, sul tema, anche grazie all’esperienza in Cecoslovacchia dove si reca nel 1966 per protestare contro l’invasione russa. Lì fa il suo primo grande sciopero “gandhiano” della fame, insieme a molti altri militanti, e comincia un dialogo con Aldo Capitini sulle forme della non violenza.

Nel 1973, a ridosso del referendum sul divorzio, fonda e apre Liberazione – testata che poi cederà quasi 20 anni dopo a Rifondazione Comunista – che avrà vita breve, chiudendo a marzo 1974, ma che sarà fondamentale per la consultazione di maggio sulla possibilità di sciogliere il vincolo matrimoniale. Quel famoso NO per mantenere il divorzio nell’ordinamento giudiziario italiano fu uno dei più grandi successi politici di Pannella, che però nella sua instancabile attività non si è mai adagiato sugli allori. Non a caso prima ancora di sapere che quasi il 60% dei votanti gli avrebbe dato ragione, lui aveva già cominciato la campagna per l’aborto (poi vinta nel 1981 con un altro fondamentale referendum – in questo caso si raggiunse il 67% – che ha consentito alle donne italiane di uscire dal medioevo) e per la liberalizzazione delle droghe leggere. E proseguiva quella per l’abolizione della Naja (famoso lo slogan che lo sovrasta in una foto d’epoca “Di Naja si muore”).

Nel frattempo entra alla Camera (1979, 1983 e il 1987 le elezioni in cui ottiene il seggio) e porta Sciascia, sempre nel ’79, al Parlamento Europeo, essendo i due uniti da una lotta garantista contro le misure straordinarie assunte dallo Stato Italiano per sconfiggere il terrorismo, battaglia che avrà il suo apice con la candidatura di Toni Negri. Una battaglia, quella contro una certa magistratura, che porterà avanti fino alla morte, Marco Pannella, passando per diverse consultazioni richieste, ottenute e infine fallite (per mancanza del quorum) sulla divisione delle carriere e sulla responsabilità dei giudici. Il momento più alto fu probabilmente quello che lo vide tra i pochissimi ad appoggiare, anche nei momenti più bui, Enzo Tortora, che convinse a presentarsi nelle liste radicali per l’Europarlamento. Il giornalista e conduttore, ignobilmente e ingiustamente coinvolto in un processo per droga che lo vedrà assolto dopo aver subito il carcere e una persecuzione giudiziaria assurda, fu eletto. Ma, in seguito alla mancata chiusura del suo procedimento, rinunciò all’immunità e tornò ad affrontare la sua sorte, pur sapendosi innocente, per poterlo dimostrare. Un atto di coraggio che lo stesso Pannella osteggiò, per affetto verso l’amico e sfiducia nei confronti del suo Paese. Tra i candidati illustri si contano anche Domenico Modugno e Ilona Staller (il cui vitalizio fa discutere ancora oggi).

Con gli anni ’90 il suo iperattivismo politico aumenta con proporzioni inverse all’efficacia delle sue battaglie (e delle sue vittorie alle elezioni). Anche se è proprio agli albori di questo decennio che arrivano i suoi ultimi grandi trionfi. Nel 1992 Pannella si presenta alle elezioni politiche con la “Lista Pannella”: ottiene l’1,2% dei voti e 7 deputati. In Settembre, appoggia la manovra economica del governo di Giuliano Amato. Nel 1993 con Segni vince un lungo listone di referendum tra cui spiccano quelli per l’abolizione del proporzionale (con l’intenzione di far approvare un’uninominale secca, da sempre suo pallino), del finanziamento dei partiti e con un’ulteriore consultazione arrivò anche alla depenalizzazione dell’uso personale delle droghe leggere. Alle elezioni politiche del 1994 si schiera con il Polo di Silvio Berlusconi, scelta molto discussa dalla sua base e dai suoi elettori, ancor più che l’appoggio ad Amato. Nel ’99 è stato rieletto parlamentare europeo, con la Lista Bonino, arrivando al massimo dei consensi ricevuto da una sua formazione politica, il 9%.

Il nuovo millennio lo vede diventare da una parte una presenza sempre più folkloristica nella politica italiana – dagli scioperi di fame e sete divenuti quasi una routine fino alla lite con Sgarbi a Buona Domenica – e continuando a dividere con le sue scelte (Kosovo e Afghanistan lo vedono tra gli interventisti, l’Iraq tra gli oppositori alla guerra, contraddizioni che lo porteranno ad avere frizioni forti con il movimento pacifista). Porta avanti battaglie di alto spessore – contro la pena di morte, a favore dell’eutanasia, per l’amnistia ai detenuti e la salvaguardia delle loro condizioni in carcere, tra le altre -, ma complice una società molto più liquida e meno abituata alla militanza e alle battaglie per i diritti civili, risulta sorda alle sue proteste, alle sue lotte, persino, appunto, ai suoi scioperi.

Ci mancherà la sua passione, avremo nostalgia dei suoi eccessi. Lui che aveva colpito in molti, da Sartre al Dalai Lama, suoi amici, fino a De Gregori e J-Ax, così diversi ma uniti dall’averlo citato in una loro canzone (Il Signor Hood il primo, Ohi Maria il secondo), così come gli Offlaga Disco Pax, Jovanotti e Fabri Fibra. L’Italia sarà più povera, senza quel “radicale libero”, esempio mirabile di come si debba, per fare il bene della propria gente, essere privi di ogni fede: politica, ideologica, religiosa.

Photocredit copertina ANSA/ANGELO CARCONI

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