Come sono stati liberati Gino Pollicardo e Filippo Calcagno?

05/03/2016 di Redazione

Ieri, dopo la tragica morte dei tecnici Fausto Piano e Salvatore Failla, sono stati liberati gli altri due colleghi rapiti in Libia lo scorso luglio, Gino Pollicardo e Filippo Calcagno. Il Messaggero ricostruisce gli attimi in cui i due hanno comunicato la loro liberazione:

«Sono Gino Pollicardo e sono qui con il mio collega Filippo Calcagno. Siamo in posto sicuro, in un posto di polizia qui in Libia. Stiamo bene e speriamo di tornare urgentemente in Italia perché abbiamo bisogno di ritrovare le nostre famiglie», dice Gino davanti alla telecamera di un telefonino: la barba lunga, testimone dei mesi di detenzione e la faccia duramente segnata dalla privazione della libertà, di un buon letto, di cibo e dell’affetto dei familiari. Il suo collega è un fantasma, bianco in volto. Poco prima avevano diffuso un messaggio scritto attraverso Facebook: «Stiamo discretamente fisicamente ma psicologicamente devastati».

فيديو للايطاليين الذين تم تحريرهما

Posted by ‎المركز الإعلامي صبراتة – Sabratha Media Center‎ on Chenàbura 4 Martzu 2016

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Sulla liberazione c’è ancora molto da chiarire. C’erano contatti tra i nostri servizi e i rapitori? C’è stato un accordo? Un riscatto?

A fornire informazioni vitali per la loro liberazione sembra sia stata una donna, l’unica sopravvissuta del gruppo di rapitori della sparatoria di mercoledì notte che ha visto morire dodici persone, compresi i due italiani. Ma c’è ancora molto da chiarire, visto che anche in questo caso, esistono differenti versioni dell’accaduto. Secondo altre fonti infatti i due ostaggi, detenuti in una casa dove ufficialmente risiedeva una famiglia marocchina, sarebbero riusciti a fuggire e quindi a dare l’allarme. Qui le ipotesi sono molte: si parla di una contrattazione andata a buon fine o forse i superstiti del gruppo di rapitori hanno deciso di defilarsi abbandonando i due ostaggi. C’è anche l’ipotesi di un ingente riscatto (dodici milioni di euro) e di mediatori che, presa una parte dei soldi durante la trattativa, sarebbero fuggiti con il bottino. Un’altra figura che forse potrà svelare molti retroscena è il loro autista, colui che li ha traditi e venduti per soldi.

Il Corriere della Sera parla di un altro retroscena. I negoziati per i quattro tecnici si erano interrotti da tempo e i due tecnici, abbandonati dai rapitori, sono scappati. Da soli:

«Sentivamo parlare in arabo e francese», gli avrebbero detto i due italiani ieri. La storia, per lo meno curiosa, è che circa una settimana fa la cellula di Isis che li custodiva si sarebbe dileguata sotto l’incalzare dell’offensiva di Rada. «Per sette giorni gli italiani non hanno potuto bere o mangiare. Alla fine si sono liberati da soli», aggiunge. Ieri sera ci ha detto che un emissario della Bonatti si sarebbe recato nel commissariato di Sabratha per incontrare i due. Ma il mistero non è affatto chiarito. Infatti Algribli parla invece di «duri scontri» che hanno permesso di liberare i due ostaggi ancora in vita. Un elemento appare invece abbastanza scontato. Non ci sono forze militari o agenti dell’intelligence italiani sul posto. «Da tempo si erano interrotti i negoziati per la liberazione degli ostaggi. E in nessun modo forze speciali o agenti italiani sono presenti a Sabratha», ci hanno ripetuto ieri gli ufficiali vicini a Rada nel quartier generale di Tripoli.
Una conferma indiretta si ritrova tra l’altro nel messaggio scritto a mano su di un biglietto stropicciato che i due appena liberati mostrano ai giornalisti locali (l’immagine è diffusa in rete) in cui — barbe lunghe e volti stremati dalla stanchezza — chiedono «di tornare urgentemente in Italia». Una sorta di appello alle nostre autorità che non sarebbe necessario se fossero presenti sul posto. Appare irrilevante invece l’errore della data, «5 marzo» sul fogliettino. Una comprensibile confusione. Chi non sbaglierebbe il giorno in un frangente simile?«Sentivamo parlare in arabo e francese», gli avrebbero detto i due italiani ieri. La storia, per lo meno curiosa, è che circa una settimana fa la cellula di Isis che li custodiva si sarebbe dileguata sotto l’incalzare dell’offensiva di Rada. «Per sette giorni gli italiani non hanno potuto bere o mangiare. Alla fine si sono liberati da soli», aggiunge.

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