Unioni Civili, il giorno di Verdini in maggioranza. Ala dirà sì alla fiducia

24/02/2016 di Alberto Sofia

Il passaggio politico più delicato, la fiducia dell’Ala di Denis Verdini al governo, per la causa più nobile, le Unioni Civili. La “prima volta” ha le sembianze di una mossa da poker, studiata dettaglio dopo dettaglio, tra Palazzo Chigi e il quartier generale verdiniano. O forse, soltanto di una strana coincidenza. Poco cambia per l’ex sodale del Cav, già con un piede e mezzo in maggioranza. Quel che conta è che l’ora del grande incasso sia ormai arrivata: il gruppo dell’ex plenipotenziario azzurro voterà la fiducia sul maxi-emendamento che blinderà il disegno di legge Cirinnà, ormai senza stepchild adoption né obbligo di fedeltà, dopo l’abbraccio tra Renzi e Alfano. Ma a esultare sarà pure l’ex plenipotenziario azzurro con i suoi fedelissimi: «Il gruppo ha scelto: Renzi avrà il nostro sì», conferma a Giornalettismo un big di Ala coperto dall’anonimato. Precedenti non ce ne sono, sarà il “battesimo” ufficiale dell’ingresso in maggioranza. E a poco servono le smentite ufficiali di Verdini: «Mai detto nulla in merito», nicchia in serata il senatore toscano. Ma al di là delle dichiarazioni di rito, la decisione ormai è già presa.

DENIS VERDINI E ALA PRONTI A ENTRARE IN MAGGIORANZA ALLA VIGILIA DEL VOTO SULLE UNIONI CIVILI

Era il passaggio che il gruppo dei transfughi ex azzurri, traghettati dal “novello Caronte” Verdini sulle sponde di Palazzo Chigi, attendeva da mesi. Scalpitavano dentro Ala, volevano «fidanzarsi» con il premier dopo il sostegno decisivo sulle riforme costituzionali: «Non possono considerarci interlocutori di mattina, tra le aule parlamentari, e tenerci nascosti la sera», spiegava, non troppo ironico, lo stesso portavoce Vincenzo D’Anna. L’ex coordinatore di Forza Italia era però consapevole che i tempi non fossero ancora maturi. Anche per l’ostacolo più fastidioso, quella minoranza dem che lo considera alla stregua di «un impresentabile», di fronte ai suoi cinque rinvii a giudizio. Pesa sull’ex sodale l’ombra dei processi e le accuse sulla P3, passando per quelle di truffa, concorso in corruzione, bancarotta e finanziamento illecito ai partiti. Tradotto, serviva attendere il momento giusto, allontanare le polemiche. E non a caso con la sua ALA puntava al passaggio delle amministrative, poi a quello decisivo del referendum costituzionale. «Sarà allora che gli schieramenti saranno chiari», spiegavano dal gruppo salvagente. Fino all’occasione da non lasciarsi sfuggire, il voto sul maxi-emendamento delle Unioni Civili. Sulla carta una legge che guarda a sinistra, ai diritti civili. Un vessillo che lo stesso premier intende sbandierare in vista delle elezioni 2016. «Chi potrà mai contestarci?», sono convinti dentro Ala.

Non ci ha pensato un attimo, Denis. Il peggior incubo di Speranza, Gotor e di tutti i bersaniani. Lo “spauracchio” che la Sinistra dem voleva allontanare dal «giardino» del Nazareno. Ora la vecchia Ditta dem dovrà farsene una ragione. «Dopo il sì alla fiducia si scriverà una nuova pagina per Ala. Non vogliamo poltrone, quelle le ha prese tutte Alfano. Abbiamo sostenuto le riforme, abbiamo salvato più volte il governo. A Palazzo Madama senza di noi sarebbe già aperta la crisi. A questo punto, però, un riconoscimento ufficiale è il minimo per noi», rivendica ancora la fonte verdiniana a Giornalettismo. Euforica alla vigilia di una giornata attesa. Fin dal momento in cui si era scelto lo strappo ufficiale da Arcore.

DENIS VERDINI, IL GRANDE GIORNO DELL’INGRESSO DI ALA IN MAGGIORANZA

«Noi avremmo votato il provvedimento se non fosse stato accompagnato dalla fiducia, se come pare sia la fiducia ci sarà, questo apre scenari che vanno oltre l’assenso da dare alla legge», aveva anticipato il portavoce D’Anna dalla sala stampa di Palazzo Madama. Ambizioni che saranno ora realtà. Basta con il sostegno esterno, travestito da forza di “opposizione”. Basta con i giochi di parole: «Votare contro la sfiducia non è come votare a favore della fiducia», replicavano ironici lo stesso D’Anna e il capogruppo Barani nell’altro passaggio decisivo, quella sfiducia presentata dal centrodestra al governo e respinta anche con il soccorso di Ala sul caso banche. Ora non servirà più nascondersi, l’appoggio all’esecutivo sarà ufficiale. E Verdini non avrà più bisogno di fare l’idraulico della maggioranza, tra rubinetti che perdono a destra come a sinistra. «Avremo la dignità di Alfano e di Area Popolare: un gruppo che, se soltanto avessimo voluto, a quest’ora nemmeno ci sarebbe più», azzardano da Ala, con un chiaro riferimento alle continue fibrillazioni interne dentro Ncd e all’Opa lanciata dallo stesso Verdini.

UNIONI CIVILI, LA GUIDA
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DENIS VERDINI, L’INCONTRO AL QUIRINALE DA MATTARELLA E LE PAROLE DI RENZI

Ora c’è chi medita la possibile “convergenza” tra Verdini e Alfano. E i contatti non mancano tra i due gruppi, anche con l’ala ciellina di Maurizio Lupi. «Più siamo e meglio è», aveva replicato lo stesso leader di Ap ai cronisti che gli chiedevano del possibile voto di fiducia di Ala al governo. Ma dentro il gruppo verdiniano c’è chi guarda oltre e non si fida: «Unirci? Vedremo, perché mai dovremmo farlo adesso. Alfano conta poco più dell’1%, noi pensiamo in grande. Vogliamo creare i Moderati per Renzi, ne riparleremo quando ci sarà un voto all’orizzonte. E quando sarà chiaro cosa farà Renzi con l’Italicum», spiegano fonti interne ad Ala. Perché l’obiettivo a lungo termine resta quello di convincere il premier a cambiare il premio di maggioranza alla lista con quello alla coalizione. Oppure ottenere un apparentamento al secondo turno. Mai però correre troppo. Un passo alla volta, predica lo stesso Verdini. Che non a caso ha chiesto di non rilasciare dichiarazioni ufficiali, prima del voto sulle Unioni Civili. Così come di evitare di sbandierare in modo troppo euforico il sì alla fiducia nel giorno del voto a Palazzo Madama sul Ddl Cirinnà. Inutile aizzare polemiche.

Il motivo? Basta un piccolo errore per far saltare tutto. E rovinare un passaggio studiato e meditato passo dopo passo. Non è un caso che pochi giorni fa Verdini, il capogruppo Barani, il tesoriere Ignazio Abrignani e il segretario politico Massimo Parisi siano stati pure ricevuti al Colle da Sergio Mattarella. Un incontro chiesto dallo stesso Verdini, riciclato da mesi nelle vesti del padre costituente: «Cosa ha detto il capo dello Stato? Le posso dire che ha riconosciuto il nostro impegno sulle riforme», spiegano a Palazzo Madama da Ala. La verità è che al Quirinale sono consapevoli che i numeri siano precari in Senato. E di come la stampella di Verdini più volte abbia blindato la tenuta della maggioranza. Senza contare come Ala abbia già rivendicato il suo impegno in vista del referendum. Tradotto, dal Colle non entrano nel merito. Ma è chiaro che Mattarella sia interessato prima di tutto alla stabilità. Ovvero, quanto il gruppo verdiniano può “offrire” al premier con i suoi numeri. 

E non è un caso che lo stesso Renzi abbia preparato il terreno per lo sbarco dell’Ala di Verdini in maggioranza con quelle parole nel corso dell’Assemblea Nazionale del Pd. Con tanto di riconoscimento al gruppo dell’ex sodale del Cav sulle Unioni Civili. Ora gli “strani amori” porteranno al matrimonio ufficiale tra l’Ala e il governo. Con buona pace di Bersani: «Il voto di fiducia di Verdini? Beh, si racconterà che è un voto di coscienza…», ha replicato sarcastico l’ex segretario dem. Ma in assemblea l’ex candidato premier non si era presentato, mentre i suoi al Senato, al di là di qualche dichiarazione mediatica, non hanno nemmeno tentato di battagliare sullo stralcio della stepchild adoption. Tutto accettato, come al solito. Proprio come già avvenuto su Jobs Act, riforme, Italicum e legge di stabilità. Ora si ritroveranno pure con lo spauracchio Denis al governo. Ma tutti restano in silenzio, al massimo aggirano la questione: «Ma questa è una legge che riguarda i temi etici, poi vedremo anche i numeri, se saranno decisivi», è la lettura data da Gotor & colleghi. Nessuno minaccia l’idea di non votare la fiducia o di chiedere una Direzione ad hoc al segretario. Soltanto qualche attacco mediatico, niente di più. Con l’unico interesse di trascinare la contesa con il premier fino al prossimo congresso Pd: «Allora sarà troppo tardi», c’è chi ammette in casa dem. Bersani e i suoi non sembrano capirlo. E intanto si ritrovano l’Ala di Verdini in maggioranza.

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