Reddito minimo di 320 euro al mese per un milione di poveri, il piano del governo

01/02/2016 di Redazione

Il governo ha intenzione, già da quest’anno, di introdurre un reddito minimo di 320 euro al mese per un milione di poveri con minori. Il sostegno del governo dovrebbe essere accompagnato da un piano per l’inclusione sociale delle persone in difficoltà economiche. A confermarlo è il ministro del Lavoro Giuliano Poletti, che in un’intervista rilasciata a Roberto Mania per Repubblica parla di «cambiamento radicale» rispetto al passato.

 

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REDDITO MINIMO DI 320 EURO AL MESE PER UN MILIONE DI POVERI, RIFORMA NEL 2017

La riforma per l’introduzione di questo istituto dovrebbe partire nel 2017 (entro sei mesi arriveranno i decreti attuativi) ma già dal 2016 potranno essere utilizzati 600 milioni stanziati con l’ultima legge di Stabilità. Poletti ha spiegato che l’obiettivo dell’esecutivo è di coinvolgere (dopo le famiglie con minori) una platea di 4 milioni di persone di condizioni di povertà assoluta:

«È un cambiamento radicale – dice Poletti – perché nel nostro Paese non c’è mai stato un istituto unico nazionale a carattere universale per sostenere le persone in condizione di povertà. Vogliamo dare a tutti la possibilità di vivere dignitosamente. È una riforma che vale almeno quanto il Jobs act».

Di fatto si tratta dell’introduzione anche in Italia, che insieme alla Grecia è l’unico in Europa a non averlo, del reddito minimo. È così?

«Noi veniamo da una storia e da esperienze diverse in termini di politiche di contrasto alla povertà. Abbiamo sempre concentrato gli interventi sul versante dell’assistenza, sul trasferimento passivo. Ora facciamo di più: parallelamente al trasferimento monetario, le istituzioni prenderanno in carico ciascuna persona in condizioni di povertà per la sua inclusione sociale. Dietro questa misura c’è un’idea di società».

È difficile pensare che possa funzionare con la pubblica amministrazione italiana e affidando all’Isee (l’indicatore della situazione economica) l’accertamento delle condizioni patrimoniali in un Paese come il nostro ad altissimo tasso di evasione fiscale. Insomma non c’è il rischio che il sostegno vada a chi non ne ha bisogno?

«Guardi, spetta al governo e al Parlamento fare le riforme ma poi “a bordo” ci sono le persone, ciascuno deve prendersi una parte di responsabilità. Le faccio un esempio: chi riceverà l’assegno dovrà impegnarsi contestualmente, come già accade nelle città che stanno sperimentando il sostegno per l’inclusione attiva, a mandare i figli a scuola e ad accettare possibilità di lavoro. Pensiamo a un coinvolgimento anche delle associazioni del volontariato. Quanto all’Isee le ricordo che l’abbiamo cambiato e che oggi fotografa molto più efficacemente le situazioni: se prima il 78 per cento dichiarava di non avere conti correnti bancari o postali oggi questa percentuale è calata al 18».

Avete annunciato un riordino degli istituti assistenziali. Non è che il nuovo sostegno sarà finanziato con i tagli ad altri trattamenti? Insomma una partita di giro.

«I trattamenti in essere non sono in discussione, non saranno toccati. Faremo un’analisi e puntiamo a una riorganizzazione anche delle prestazioni non per fare cassa ma per equità».

(Foto: Ansa / Matteo Bazzi)

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