Italia: record Europeo sul numero dei giovani che non studiano e non lavorano

Gli italiani detengono il drammatico primato di Neet, letteralmente ‘Not in education, employment or trading, i giovani che non studiano e non lavorano. Ne parla oggi Tiziana De Gregorio sulle pagine di Repubblica riprendendo uno studio di Alessandro Rosina, demografo e sociologo della Cattolica di Milano. L’Italia è il paese europeo con il maggior numero di ragazzi con le vite sospese.

 

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NEET, 26% DI UNDER 30 SENZA FORMAZIONE E IMPIEGO –

Sono circa 2,5 milioni i giovani tra i 15 e i 29 anni che non riescono a trovare un ruolo nel mercato del lavoro e vivono a carico dei genitori:

Nel nostro Paese i Neet erano 1,8 milioni nel 2008. Nel giro di sette anni se ne sono aggiunti altri 550mila e oggi toccano i 2,4 milioni. Insieme potrebbero riempire una città grande quasi quanto Roma. «Un livello allarmante mai raggiunto nella storia». A dirlo è una recentissima indagine di Alessandro Rosina, demografo e sociologo dell’università Cattolica di Milano: «La quantità di giovani lasciati in inoperosa attesa era già elevata prima della crisi — scrive nel volume ‘Neet’, edito da Vita e pensiero — ma è diventata una montagna sempre più elevata e siamo una delle vette più alte d’Europa ». Il 2014 è stato l’anno in cui l’Italia ha toccato il punto più basso di nascite ma il valore più alto di Neet: si muovono in questo labirinto il 26 per cento dei giovani italiani fra i quindici e i trent’anni. La media europea è del 17, di nove punti più bassa. Ma ci sono Paesi come la Germania e l’Austria dove i ragazzi in questa condizione non superano il 10 per cento.

NEET, IN PARTE DISOCCUPATI E IN PARTE INATTIVI –

Circa la metà dei Neet italiani sono diplomati, 4 su 10 invece hanno in tasca una licenza media, 1 su dieci una laurea. Nella maggior parte dei casi di tratta di disoccupati. Scrive ancora De Gregorio su Repubblica:

La fetta più consistente dei Neet è costituita da chi in questo momento sta cercando (più o meno attivamente) un impiego e quindi dai disoccupati. Ma se per loro questo limbo dovesse durare troppo a lungo, il rischio più grande è che passino dalla parte dei cosiddetti “inattivi”: uomini e donne che un impiego non lo cercano più. O che ingrossano le fila del lavoro nero. Gli ultimi dati dell’Istat sulla disoccupazione giovanile sembrano purtroppo andare proprio in questa direzione. A settembre i senza lavoro fra i quindici e i ventiquattro anni erano il 40,5 per cento. Il loro lieve calo dello 0,2 per cento rispetto ad agosto non suona però esattamente come una buona notizia: nello stesso mese gli ‘inattivi’ nella stessa fascia di età sono aumentati dello 0,5 per cento.

(Foto di copertina: ANSA / FRANCO SILVI)

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