Ermes Mattielli: la storia dell’uomo che sparò ai ladri nel suo capannone

Ermes Mattielli è morto di infarto mentre si trovava ricoverato nel reparto di rianimazione dell’ospedale di Vicenza. Aveva 62 anni e una condanna per aver sparato, ferendo gravemente, due ladri che si erano introdotti nel suo deposito di ferri vecchi vicino a casa. Cinque anni e quattro mesi di reclusione stabiliti dal Tribunale di Vicenza. La sua morte ora viene ripresa da diversi politici di centrodestra che gridano all’“omicidio di Stato”. Anche perché, ad indignare i più, fu il risarcimento stabilito nei confronti dei ladri (che scontarono comunque la loro pena di quattro mesi per furto).

“Era una persona perbene ha avuto il solo torto di difendersi da due delinquenti che lo stavano derubando”. Maurizio Gasparri

“È la morte di una persona che ha lavorato una vita e fa incazzare. Se non è una morte di Stato questa?” Matteo Salvini.

“È lo Stato ad avere sulla coscienza la morte di Ermes: prima non gli ha garantito la sua sicurezza e poi lo ha addirittura indagato e punito per essersi difeso. Siamo vicini alla sua famiglia e anche nel suo nome continueremo a portare avanti la nostra battaglia: la difesa è sempre legittima” Giorgia Meloni

Mattielli è considerato un simbolo della legittima difesa da parte del centro destra italiano. Diversi programmi tv dedicarono servizi sulla vicenda dell’uomo.

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ERMES MATTIELLI: LA VICENDA DELL’UOMO CHE SPARO’ AI LADRI

– Cosa ha commesso Mattielli? Collochiamo la sua vicenda in modo temporale, precisamente nel 2006, anno in cui uscì la legge 59 sulla legittima difesa. In questa legge si rimette mano al cosiddetto articolo 52:

“Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa”

Nel 2006 si aggiungono dei commi che stabiliscono la proporzione del pericolo e sopratutto permettono di difendere le persone e la propria proprietà (anche lavorativa) in caso di desistenza e pericolo d’aggressione.

“Nei casi previsti dall’articolo 614, primo e secondo comma, sussiste il rapporto di proporzione di cui al primo comma del presente articolo se taluno legittimamente presente in uno dei luoghi ivi indicati usa un’arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere:

a) la propria o altrui incolumità;
b) i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo d’aggressione.
La disposizione di cui al secondo comma si applica anche nel caso in cui il fatto sia avvenuto all’interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un’attività commerciale, professionale o imprenditoriale”.

Ora passiamo al caso del signore vicentino. La sera del 13 giugno 2006 due ragazzi (uno di 21 anni, incensurato e suo cugino di 28) si introducono nel suo capannone a Scalini di Arsiero.
Il capannone dista a pochi metri da casa di Mattielli. L’anziano, invalido civile, viene allertato dal sistema “d’allarme”. Ecco cosa riportò il Corriere Veneto:

Quella sera il titolare del robivecchi a Scalini di Arsiero, scattato l’allarme, si era precipitato nel vicino deposito e quando si era trovato davanti i due intrusi, che avevano già ammucchiato dei cavi in rame e che stavano brandendo delle spranghe, aveva sparato. Impugnata la pistola calibro 9 che si era portato da casa, aveva scaricato tutti i proiettili, quattordici colpi, a distanza ravvicinata. «Ero disperato: avevo già subito numerosi furti. Quando me li sono visti venire contro ho avuto paura e ho premuto il grilletto», è sempre stata la versione dell’invalido civile, che sostiene di aver agito per legittima difesa, perché convinto dell’imminente e grave pericolo alla sua incolumità. A distanza di sei anni, il 4 luglio 2012, era stato condannato per lesioni colpose ad un anno, pena sospesa, condizionata al pagamento di una provvisionale di 120mila euro ai nomadi. All’epoca anche gli assessori Roberto Ciambetti ed Elena Donazzan si erano mobilitati per una raccolta fondi (un flop, con 800 euro circa). E da più parti si era urlato alla sentenza ingiusta, con cittadini e politici scesi in piazza e fiaccolate.

L’uomo sparò due colpi a una distanza di 4-5 metri e poi i restanti «all’impazzata». Nel dibattimento è emerso che Mattielli non voleva uccidere i due ladri ma l’uomo ricevette un primo verdetto al tribunale di Schio per lesioni colpose. Perché? In aula, secondo gli esami balistici, si ritenne infatti che non vi fosse il giusto rapporto di proporzione stabilito appunto dall’articolo 52 del codice penale. Uno dei due nomadi colpiti subì la rottura del femore con accorciamento di tre centimetri dell’arto: per tal motivo fu stabilita un cifra così elevata nel risarcimento danni. Eccesso di difesa quindi, e la sentenza fu poi annullata dal ricorso.

guarda il video:

ERMES MATTIELLI: E L’APPELLO CHE PEGGIORO’ LE COSE

– La vicenda del signore vicentino infatti continua. In appello, con un vivace dibattito politico, l’ex rottamaio viene condannato dal collegio del tribunale di Vicenza a cinque anni e quattro mesi di reclusione con l’interdizione, per cinque anni, dai pubblici uffici. Anziché quindi migliorare le condizioni dell’uomo il sostegno di una parte politica non ha fatto altro che peggiorare ulteriormente la sua posizione. Non solo. Per Mattielli fu stabilito un altro risarcimento verso i ladri: stavolta con una provvisionale immediatamente esecutiva, di 135mila euro.

Passiamo ora ai giorni nostri. L’uomo, sfortunatamente stroncato da un infarto qualche giorno fa, si trovava da alcuni giorni scorsi all’ospedale di Santorso, prima in cardiologia poi in rianimazione. Era stato colto da un attacco di cuore in casa: soccorso, fu trasportato nell’ospedale dell’Alto Vicentino, dove era tenuto sotto osservazione.

La modifica all’articolo 52 fu sostenuta nel 2006 dalla Lega Nord. Non servì a difendere Ermes Mattielli che purtroppo è venuto a mancare pochi giorni fa. L’uomo non c’è più e diversi esponenti politici lo citano oggi per l’intricato problema della legittima difesa in Italia. Eppure la stessa propaganda non salvò lo sfortunato signore nel pagare di più rispetto alla prima sentenza stabilita.

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