Giletti, il Massimo del minimo

02/11/2015 di Boris Sollazzo

Perché vi stupite di ciò che ha detto Giletti? Perché vi indignate? Essere definito indecoroso da uno come lui, non la ritengo un’offesa. Perché, sia chiaro, se la sua idea di televisione e di decoro è quella che possiamo intuire dal suo lavoro, in fondo può anche essere un complimento. Lo dico da napoletano e da critico televisivo, si intenda.

Non è ironia. Non è neanche rancore. In fondo il conduttore ha fatto una cosa che vediamo fare a molti in tv: ha usato una verità, strumentalizzandola, per attaccare chi lo stava contestando.

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Nel piccolo schermo va così, non vince il ragionamento, non trionfa l’analisi, non si elabora un pensiero. Si cerca di prevalere sull’altro, la maggior parte delle volte con trucchetti di basso livello. E possibilmente senza troppi rischi: Napoli, in fondo, la insultano tutti, aggiungersi al coro ti dà facile esposizione e nessun problema (se non la comprensibile reazione indignata di chi la ama). Puoi sparare su un figlio di Napoli, dopo sei secondi che lo hai visto. E il paese sarà con te, a partire dalla sua Capitale. E se è un figlio di Napoli ad umiliare un altro figlio di Napoli, allora sarà colpa della città. Se una pompa lo farà esplodere dentro, letteralmente, un adolescente, lì sarà antropologia di un popolo corrotto, al Nord invece uno scherzo. Napoli è una carta sporca e nessuno se ne importa, diceva un grande poeta.

Giletti, poi, non è un giornalista. O meglio lo era (nel 2008 si è dimesso dall’Ordine dei giornalisti per la normativa che impedisce a quest’ultimi di fare pubblicità): ha imparato da uno dei migliori, il Minoli di Mixer. Ma poi quella capigliatura fluente, quegli occhi a fessura che hanno sedotto Alessandra Moretti e buona parte del (servizio) pubblico, hanno preferito prima l’infotainment e poi il trash. Lui, che a volte sa anche avere un sussulto di dignità – ricordate la chiacchierata con Berlusconi (“se mi interrompe me ne vado” disse il Cavaliere)? – di cui poi si pente presto (è di quest’estate la notizia, data proprio dallo showman che con orgoglio ha pubblicizzato il suo rifiuto, di Sua Emittenza che lo vorrebbe come sindaco di Torino), lo sa il percorso professionale che ha fatto.

Silvio Berlusconi ospite a "L'arena" di Massimo Giletti

Non a caso conduce L’Arena.

Cos’era un’arena? Un luogo dove bestie feroci e incarognite combattevano con dei gladiatori (ma più spesso schiavi). E in cui un pubblico più ferino delle bestie stesse si divertiva a guardare una lotta squallida, impari, selvaggia, senza senso. E poi c’era chi, dall’alto della sua arbitrarietà, decideva. Pollice verso o su. Per capriccio.
Ecco, il buon Massimo di quell’Arena è il piccolo imperatore, perché questo si sentono i presentatori in quello spazio drogato che è la tv. Loro decidono chi vince e chi perde, con una battuta, un occhio umido, una domanda più o meno accomodante, una parola data e una tolta. E pensa di poter dire la sua sul serio, quel condottiero fatto di pixel. Ma quella è pur sempre un’arena, dove contano le urla sguaiate, lo spettacolo brutale, la cattiveria. E allora l’imperatore si infanga, e fango getta addosso a chi vuole.

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Insomma amici napoletani, non vi offendete. Uno così non può apprezzare Napoli. A uno così non potete spiegare che a Torino, Milano e Roma hanno imbrattato le stazioni della metro appena costruite, mentre a Napoli ne hanno fatte di nuove, facendole divenire opere d’arte riconosciute in tutto il mondo, e che da mesi sono lì, senza neanche uno sbafo di spray, un graffito, un utensile divelto. Non affannatevi a fargli capire che noi partenopei ci affanniamo ad amare la bellezza anche se fanno di tutto per togliercela. Che quella immondizia è sbucata anche a Roma, copiosa, appena l’illegale Malagrotta è stata chiusa. Non provate a spiegargli la complessità di chi è stato grande, poi schiacciato, tradito. Di chi sa essere fin troppo autocritico, anche se la Storia ha mentito su Napoli, il Sud e l’Indipendenza italiana. Di chi sente definire da un napoletano illustre e intelligentissimo, Raffaele Cantone, un grande figlio di Napoli, Milano come la capitale morale, ma sa che da lì arriva il Potere che ha colonizzato la sua terra. Che la manovalanza della camorra sarà campana e meridionale, ma i suoi colletti bianchi operano lì, dove la morale trionferebbe. Che dal Nord sono arrivati i rifiuti che la terra dei fuochi ha accolto. Che al Nord ripuliscono i soldi sporcati dal sangue del Sud. Cosa volete che possa capire Giletti, di tutto questo, di una terra che ama il Vesuvio, la sua più grande minaccia.
Ci vorrebbe Leopardi per capire tutto questo. E lui è appena Giletti. Non fategliene un torto. Non siete tipi da arena. Voi.

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