P3, la difesa di Verdini: «Millanterie. Io come Wolf, risolvo problemi»

La sua fronda punta al grande incasso, spingendosi verso la maggioranza dopo aver blindato le riforme costituzionali, tra le polemiche della sinistra Pd, le smentite di Palazzo Chigi, e qualche imbarazzo in casa renziana. Lui, Denis Verdini, ex sodale del Cav passato alla corte del premier nei panni del padre costituente, non sembra preoccuparsene troppo. Il salvagente è pronto anche sulla legge di stabilità, la manovra che abolirà per tutti Tasi e Imu sulla prima casa, un vecchio mantra berlusconiano. Ma, almeno per ora, per Verdini è meglio il silenzio. Restare nell’ombra, per non mettere in difficoltà il premier.

Non è un caso che Verdini non si sia presentato giovedì alla festa campana di Ncd, partito quasi imploso sul quale il gruppo dei trasfughi di Ala ha già lanciato la sua Opa. Era atteso a Limatola, nel beneventano, dopo le indiscrezioni sulle possibili convergenze con Angelino Alfano, ma Verdini ha preferito disertare. Il motivo? Nel calendario dell’ex regista azzurro del Nazareno c’era oggi l’udienza del processo “P3“, nel quale è imputato con l’accusa di corruzione, insieme all’ex sottosegretario azzurro Nicola Cosentino (già finito in carcere per questioni di camorra). E non solo.

Riforme Senato Verdini Napolitano
Verdini, nelle vesti del “padre costituente” durante il voto sul Ddl Boschi (Ansa Foto)

P3, VERDINI A PROCESSO: LE GRANE DEL “PADRE COSTITUENTE”-

Non è l’unica grana giudiziaria per Verdini. Quello romano è soltanto uno dei cinque rinvii a giudizio collezionati dal neo responsabile: da quello per bancarotta sulla vicenda del Credito cooperativo fiorentino (da lui presieduto per 20 anni, fino all’indagine sulla P3 nel 2010, ndr), a quello per “concorso in corruzionenell’indagine sugli appalti per la costruzione della scuola marescialli di Firenze. Passando per l’accusa di finanziamento illecito ai partiti, per una presunta plusvalenza nell’acquisto di un immobile in Via della Stamperia a Roma (a processo andrà anche Riccardo Conti, altro transfuga da Fi ad Ala, ndr). Fino al rinvio a giudizio per “truffa ai danni dello Stato“: una vicenda legata ai 20 milioni di euro di fondi per l’editoria passati dal Credito cooperativo alla Ste, la società che editava il Giornale di Toscana. Ad accompagnare a processo Verdini ci sarà anche Massimo Parisi, altro fedelissimo ex Fi che lo ha seguito nell’addio ad Arcore e Berlusconi. Una serie di processi al quale se ne potrebbe aggiungere un sesto, il 26 novembre: lo ha anticipato lo stesso Verdini, poche settimane fa, ospite de “L’Intervista” a Sky, per un’indagine legata al fallimento della stessa Ste, a Firenze. Così, più che di Palazzo Madama, il senatore toscano rischia di diventare un habitué delle aule giudiziarie. Non sembra un caso che D’Anna e gli stessi verdiniani siano già pronti a votare con la maggioranza anche la riforma della Giustizia, capitolo intercettazioni su tutti, da tempo critici verso quella che considerano come una deriva “giustizialista“.

P3, VERDINI RESPINGE LE ACCUSE: «MILLANTERIE. FLAVIO CARBONI? “VULCANICO”» –

Bollato come una sorta di “impresentabile” dalla minoranza Pd, Verdini ha la necessità di “ripulire” la propria immagine dalle ombre giudiziarie. A partire dal presunto coinvolgimento sull’inchiesta P3, per il quale i pm hanno ipotizzato l’esistenza di un sodalizio che faceva capo al “faccendiere” Flavio Carboni, che aveva come obiettivo, secondo l’accusa, «la realizzazione di una serie indeterminata di delitti di corruzione, di abuso d’ufficio e di illecito finanziamento, oltre che di condizionare il funzionamento di organi costituzionali e di rilevanza costituzionale, nonché gli apparati della pubblica amministrazione dello Stato e di enti locali».

Puntuale, alle nove del mattino, Verdini si è presentato al Tribunale romano di Piazzale Clodio, accompagnato dal legale Franco Coppi e dal fedelissimo Luca D’Alessandro. Abito blu scuro, camicia bianca e cravatta color granata, Verdini ha respinto tutte le accuse, così come aveva già fatto nell’interrogatorio con la Procura circa cinque anni fa. Non senza risparmiarsi qualche battuta. E non senza qualche attimo di tensione con il pm Mario Palazzi, che puntava a ricostruire il suo rapporto con Carboni e con gli altri imputati che secondo l’accusa facevano parte della “loggia”.  Il faccendiere? «Carboni l’ho conosciuto nell’aprile 2009, a presentarmelo fu l’imprenditore Mariotti, legati ai “movimenti terra” e costruttore di opere pubbliche. Certamente conoscevo già benissimo chi fosse, dato che di lui si era occupato l’Espresso», ha replicato Verdini. «Condivido con lei quando lo ha definito un personaggio “vulcanico”. Era una persona piena di fantasia e di voglia di fare, un po’ troppo insistente a volte», ha continuato il senatore toscano, rivolto a Palazzi. Tra lui e Carboni, nella versione di Verdini, c’erano solo rapporti di carattere imprenditoriale: «Avevo il progetto di raccogliere finanziamenti per il Giornale di Toscana (la cronaca locale de “Il Giornale”, ndr)». E Carboni, ha raccontato l’ex coordinatore azzurro, voleva replicare l’esperienza editoriale anche in Sardegna, dopo la vittoria di Cappellacci, al quale aveva contribuito in campagna elettorale, «in modo da avere una voce a favore…». «Spiegai a Carboni come i giornali fossero in perdita. Prima di intraprendere questa avventura serviva sistemare i debiti», è la versione del neoresponsabile.

P3 Verdini processo Dell'Utri
Marcello Dell’Utri e Denis Verdini

P3, VERDINI: «DELL’UTRI? UN’ICONA, FIGURA CARISMATICA» –

Già agli inquirenti nel 2010, Verdini aveva rivendicato la sua perplessità iniziale e come Carboni avesse dato il via libera a contribuire per un aumento di capitale della Ste, per sistemare i conti della società. Poi Verdini spiegò come fosse stato l’intervento di Marcello Dell’Utri, altro nome eccellente coinvolto nell’inchiesta, a fargli vincere le perplessità sull’operazione. «Dell’Utri? Era il fondatore di Forza Italia, una icona, un punto di riferimento per me, una figura carismatica, provavo per lui amicizia e stima», ha continuato Verdini, con tanto di elogi sperticati nei confronti dell’ex senatore azzurro, anche lui rinviato a giudizio sulla P3 e già condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa. Al momento recluso nel carcere di Parma, dopo l’estradizione dal Libano del 13 giugno 2014.

P3, I RAPPORTI TRA VERDINI, CARBONI E DELL’UTRI. IL PRANZO DEL 2009 A CASA DEL SENATORE DI ALA. LUI: «UN COACERVO DI MILLANTERIE» –

E fu proprio Dell’Utri, ha raccontato Verdini, a invitarlo nel maggio 2009 all’hotel Eden di Roma, dove con lui incontrò anche Carboni. Secondo Verdini, si parlò solo dell’operazione editoriale: «Eolico? No, assolutamente non ne abbiamo parlato», ha replicato il senatore al pm, in merito a quello che, secondo la procura, era il grande affare progettato dal faccendiere Carboni in terra sarda. 

Per Verdini, poi, fu soltanto un «coacervo di millanterie» il famoso pranzo del 23 settembre 2009, organizzato nella sua stessa abitazione, a palazzo Pecci Blunt. Secondo l’accusa servì per organizzare gli obiettivi dell’associazione segreta “P3”. E lo stesso pranzo sarebbe stato organizzato per capire come arrivare ai giudici della Corte Costituzionale, dato che la Consulta avrebbe dovuto pronunciarsi sul Lodo Alfano. Ma l’ex garante del patto del Nazareno ha negato tutto: «Lodo Alfano? Se ne parlò in via generale. Nessuno mi chiese mai pressioni sulla Consulta». E sul pranzo: «Fu una cosa da niente, da non ricordare. Ognuno parlava dell’argomento che gli stava a cuore, come la riforma della giustizia».

Gli ospiti? Per Verdini, di fatto, degli “imbucati“. «Quel pranzo era stato organizzato da me perché Dell’Utri doveva portare il magistrato Arcibaldo Miller al quale avrei chiesto la disponibilità per le Regionali in Campania (dopo la richiesta di arresto arrivata per Cosentino, ndr). Si presentarono, a mia insaputa, in otto, tra cui gli imprenditori Flavio Carboni e Arcangelo Martino, il tributarista Pasquale Lombardi, il magistrato Antonio Martone e il sottosegretario di Fi Giacomo Caliendo». Più volte dai pm si è puntata l’attenzione su quel pranzo e sui rapporti con Lombardi e Martino. Legami smentiti dall’imputato. Sul primo: «Serviva un traduttore quando parlava, non si capiva nulla». E sull’imprenditore: «Martino? Una mummia». Tanto da aver ribadito di essersi lamentato con lo stesso Dell’Utri («Ma chi mi hai portato?», ndr). «Dopo quel pranzo non ho avuto più alcun incontro con Martino e Lombardi. So che mi cercavano, ma per me erano inutili», si è difeso. Ma la ricostruzione del pranzo non sembra aver convinto l’accusa: «Lei ai tempi era coordinatore di Fi e ci racconta di un incontro di autocoscienza collettiva?», ha replicato Palazzi. Per poi concentrarsi sulle figura di Carboni e Cosentino: «Carboni aveva anche un ruolo politico dentro Fi? No, nessun ruolo. Lui spesso parlava di politica. Noi in quei mesi stavamo facendo il Pdl. Un’operazione semplice a livello nazionale, molto più complicata a livello locale», ha aggiunto Verdini. E il sardo Carboni si interessava, soprattutto sulle vicende campane: «Carboni sponsorizzava la candidatura Cosentino? Solo chiacchiere», ha replicato l’imputato Verdini.

P3 Verdini processo

P3, VERDINI E LA NOMINA DI FARRIS –

Verdini è stato poi interrogato sulla questione della nomina di Ignazio Farris alla carica di direttore generale dell’Arpa Sardegna, una questione per la quale l’ex governatore Cappellacci è stato accusato di concorso in abuso d’ufficio con Carboni e con lo stesso ex coordinatore di Forza Italia. «Io ho conosciuto Carboni solo nel 2009 quando il nome di Farris era già frutto di un accordo tra lui e Cappellacci. C’erano stati però degli intoppi nella procedura di nomina e fui costretto a intervenire soprattutto perché il rapporto tra Carboni e Cappellacci si stava sfarinando», ha ricostruito Verdini. Per poi ribadire la sua versione: «Farris era proposto da Carboni perché avrebbe garantito una certa continuità nell’affare dell’eolico, la cui normativa era stata introdotta dalla presidenza Soru. Io non sono mai intervenuto nella nomina di Farris che neppure conoscevo, così come non ero interessato all’affare dell’eolico, a differenza di Carboni. Cappellacci aveva perplessità su Farris perché lo riteneva vicino a Soru. Era una questione politica, e non tecnica».

In pratica, Verdini ha respinto ogni accusa. Prima di scherzare e auto-definirsi, con tanto di citazione da Pulp Fiction, come «un facilitatore, risolvo i problemi come Wolf». E ancora: «Non mi piace perder tempo, specie se una cosa si può risolvere». Ora al servizio del premier. Con buona pace della minoranza dem, già tornata a contestare il suo “spauracchio”, dopo le lodi dello stesso Verdini a Dell’Utri: «Non si può fare una battaglia per la legalità e allearsi con chi si schiera così platealmente a favore di persone condannate per reati tanto gravi», ha attaccato il deputato Leva. Verdini e la sua fronda non sembrano preoccuparsi troppo. Con il salvagente offerto al premier, le proteste della sinistra dem “pesano” ormai poco o nulla.

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