Mafia Capitale: se gli avvocati vanno contro giornalisti e quotidiani nazionali

A pochi giorni dall’inizio del processo per Mafia capitale la Camera Penale di Roma ha presentato un esposto in procura contro le principali testate nazionali e molti giornalisti che hanno scritto sul sistema del Mondo di Mezzo. La loro colpa? Aver pubblicato integralmente o parzialmente parte dei verbali e delle intercettazioni sulla cupola manovrata dall’ex Nar Carminati.

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LE MAGGIORI TESTATE NEL MIRINO DELLA CAMERA PENALE –

Il presidente Francesco Tagliaferri e il collega Giovanni Pagliarulo hanno consegnato al procuratore della Repubblica di Roma Giuseppe Pignatone un documento la cui parte più importante sarebbe una sorta di “black list” con le testate che avrebbero violato più volte il divieto di pubblicazione testuale, anche parziale, degli atti di un procedimento penale durante le indagini preliminari o atti contenuti nel fascicolo del pm. Nel lungo elenco figurano “L’Espresso”, “la Repubblica”, “Il Corriere della Sera”, “Il Tempo”, “Il Mattino”, “Il Messaggero”, “Il Fatto Quotidiano”. In pratica gran parte dell’informazione cartacea nazionale: 78 giornalisti e 18 direttori di testate nazionali.

guarda l’esposto:

CAMERA PENALE: IPOTESI DI VIOLAZIONE –

Ora Pignatone dovrà verificare l’eventuale violazione di norme penali e sopratutto dovrà informare i Consigli di disciplina territoriali di ogni giornalista. Secondo Tagliaferri e Parulo si potrebbe ipotizzare la violazione dell’articolo 114 del codice di procedura penale. Perché anche se gli atti pubblicati sono a conoscenza dei destinatari, scopo dell’esposto è mirare alla «corretta formazione della prova di dibattimento». Il procuratore dovrà capire se c’è stata o meno pubblicazione arbitraria di atti, una contravvenzione punita dall’art. 684 del Codice Penale con l’arresto fino a 30 giorni o con un ammenda fra 51 e 258 euro. Finora non è mai stato presentato un esposto così, contro un numero così esteso di giornalisti, e soprattutto a un passo da uno dei processi più importanti del decennio.

CAMERA PENALE: SI RISCHIA ANCHE CON ORDINANZE DI CUSTODIA CAUTELARE –

Secondo l’esposto «la divulgazione a mezzo stampa degli atti del procedimento» avrebbe «avuto luogo per un periodo considerevolmente più lungo». Nello specifico si tratta  della prima serie di articoli pubblicati tra il 3 e il 9 dicembre 2014 (una settimana dopo la prima ondata di arresti per “Mafia Capitale”) e la seconda serie di pezzi pubblicati tra il 5 e il 6 giugno 2015, ovvero due giorni dopo l’esecuzione della seconda ordinanza cautelare che ha portato agli arresti di esponenti del mondo capitolino come Luca Gramazio e Mirko Coratti. L’ipotesi è che sia venuto meno il cosiddetto segreto interno, che garantisce la tutela della formazione della prova in dibattimento, dunque della «neutralità cognitiva del giudice».  Prima del dibattimento il giudice non può leggere atti o stralci sui giornali relativi a ciò che dovrà affrontare in aula. Una tesi che dovrebbe risultare impeccabile se non fosse per le righe seguenti dell’esposto che toccano però anche ciò che riguarda le ordinanze di custodia cautelare.

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MAFIA CAPITALE: LE TENSIONI PER LA SCELTA DELL’AULA BUNKER –

Niente virgolettati su intercettazioni telefoniche o ambientali, nemmeno frasi relative ai verbali di interrogatorio. Il lavoro che ha portato alla luce dell’opinione pubblica i reali motivi dietro al terremoto politico che da mesi scuote il Campidoglio non doveva essser pubblicato. Informazione? Per la Camera penale di Roma si tratterebbe di violazione del segreto interno. Accuse fatte a pochi giorni da un processo che parte già con un clima non proprio sereno. Non piacciono, per esempio, le decisioni del Tribunale di Roma in merito al dibattimento calendarizzato il prossimo 5 novembre. In primis le quattro udienze a settimana fino a luglio e poi il processo, trasferito nell’aula bunker di Rebibbia con l’utilizzo della videoconferenza dalle carceri dove sono detenuti gli indagati. I penalisti parlano di «totale annichilimento del diritto di difesa degli imputati».  Un «micidiale esperimento in vitro del nuovo modello di processo penale che, senza più infingimenti, si sta allestendo nel nostro Paese».

Scusate se è poco. Ma forse qualcuno si è scordato che si tratta di Mafia Capitale. Un processo dove i capi di imputazione  variano tra reati di associazione di tipo mafioso, corruzione, turbativa d’asta, false fatturazioni, trasferimento fraudolento di valori.

Non proprio un furto di biscotti.

 

 

 

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