Padri e figlie: Gabriele Muccino e Russell Crowe, la strana coppia – RECENSIONE

PADRI E FIGLIE, GABRIELE MUCCINO –

E’ quando dai un campione per finito, quando ne decreti il declino, che lui piazza la zampata. Gabriele Muccino dopo Quello che so sull’amore, commedia sentimentale scalcagnata e confusionaria, sciatta e inconcludente come le performance del cast di attori – i cui cognomi entusiasmavano più dell’effettivo talento – sembrava avviato verso un prematuro viale del tramonto.

Gabriele Muccino

Il cinema ha la memoria corta e un po’ in malafede: un fallimento, contagia anche i giudizi precedenti, come succede agli allenatori di calcio. Lui, poi, con il trend cominciato con il sequel mediocre Baciami ancora, certo, non ha aiutato. Con Padri e figlie Muccino non ci dice che è tornato, ma che in verità non se n’è mai andato: e sull’opera precedente è lui il primo a confessare che è il suo lungometraggio peggiore (anche a causa di produttori che ha “sofferto” fin dall’inizio).

Senti l’intervista a Gabriele Muccino dei nostri Giordano Giusti e Boris Sollazzo a Factotum, su TeleradioPiù:

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PADRI E FIGLIE, LA TRAMA –

Jack Davis (Russell Crowe) è un premio Pulitzer, un romanziere di successo e ha una bella famiglia. Ma noi lo vediamo nel momento più buio della sua vita, quando per un litigio, un incubo lontano e ancora presente, un incidente gli toglie ciò che ha di più caro. E rimane solo con la sua bambina, la sua Patatina (Kylie Rogers), a combattere una malattia, una famiglia altoborghese e cinica (Bruce Greenwood e Diane Kruger) e il suo mondo  – tranne la sua agente (Jane Fonda) -, che lo rifiuta. Ha solo quella pargola irresistibile come alleata e motivazione per vivere. E da lì riparte. Da quel sodalizio inscindibile, tenero, fertile.

Un ricovero, l’insuccesso, riesce a superare tutto con la sua Potato Chip. In lei trova la forza, l’ispirazione, la redenzione, il coraggio. Nel frattempo i flash forward ci portano nel futuro della bimba, divenuta donna fragile ma coraggiosa (Amanda Seyfried) alle prese con una prova professionale come assistente sociale, il recupero di una bambina problematica (Quvenzhané Wallis), e un amore complicato (Aaron Paul).

PADRI E FIGLIE, IL TRAILER –

Il film è uscito il 2 ottobre in Italia, ma Gabriele Muccino è già molto avanti con la lavorazione del prossimo film (L’estate addosso: cast americano e soldi italiani) e ha un grande progetto americano in partenza.

PADRI E FIGLIE, LA RECENSIONE –

Gabriele Muccino ha due grandi qualità: un talento tecnico e visivo raro e praticamente unico nel panorama dei cineasti italiani per il modo in cui unisce pop e classicità, potenza estetica e semplicità nella costruzione delle immagini, e la capacità di interpretare il genere del melodramma come i grandi del passato. Italiani e americani.

Sembrava essersi perso, negli ultimi anni, dopo la fase italiana e quella a stelle e strisce con Will Smith, forse il suo apice artistico. E forse era così, strozzato dal sistema Hollywood, dalla nostalgia che l’ha fatto tornare in patria e alle atmosfere ormai perdute e inattuali de L’ultimo bacio, dal fatto di essere straniero in patria come negli Usa. E nel pieno di una fase piuttosto turbolenta della sua vita, ma questo poco importa quando si giudicano opere d’arte.


Con Padri e Figlie raddrizza di nuovo la barra, fa un film che avrebbe trovato cittadinanza negli anni ’50 nello spirito e nelle major dei ’70 come impianto, recupera la sua lucidità narrativa, la capacità di raccontare i terremoti emotivi a cui ti sottopone la vita, di strapparti il cuore con scene madri (ma anche matrigne, per la loro durezza) e senza la paura di scaldartelo, con altre piene di empatia.
Qui torna di nuovo il cineasta capace di tare un taglio “totale” al film, di domarlo nel montaggio deciso e armonioso così come nella fotografia pulita e pronta a illuminare con diversi colori e tonalità le fasi della vita. In una frase, di consegnare allo spettatore il proprio linguaggio, senza mediazioni. E poi il meglio, come sempre, lo dà con gli attori. Russell Crowe in un personaggio così dolce raramente lo avevamo visto, ma allo stesso tempo tira fuori la tempra di duro e combattente. E sembra rinato. Diane Kruger dipinge in poche scene una donna sconfitta e aspra, Jane Fonda è divina nell’offrirci un ruolo centrale nella sua marginalità, con tre pennellate da campionessa. E che dire di Amanda Seyfried, finora efficace solo in Mamma mia e nell’esporre la sua bellezza diversa e irresistibile in altre pellicole dimenticabili, ma qui attrice vera? O dell’undicenne Kylie Rogers, talmente brava che, se saprà essere ben condotta come in Padri e figlie, potrebbe essere la nuova Jodie Foster? Il cast, insomma, è scelto con il bilancino, e tutti danno il meglio, come spesso capita agli attori di Muccino. Lui, in compenso, torna a quella complessa essenzialità, condita da sentimenti forti e una maturità emotiva (la paternità, il successo e le responsabilità nei confronti della famiglia e del mondo, le colonne della sua cinematografia nordamericana, qui trovano un tono delicato ma ficcante) che intaccheranno anche la scorza dello spettatore più cinico. E ci mette tanto del suo, tanto che Crowe sembra somigliargli caratterialmente e persino fisicamente, più di quanto entrambi mai ammetteranno.
Gabriele Muccino può fare ancora meglio. E lo farà. Padri e figlie è un film rifugio, se l’è cucito addosso per rimanere nel campo che più ama e giocarsela con le armi migliori. Ma è soprattutto il ritorno del suo talento al meglio, la dimostrazione che la crisi è passata. Ora, però, serve l’ultimo salto di qualità. Tre ottimi film, un paio di cult non bastano. Può e deve regalarci il suo capolavoro.
Chiudiamo, però, godendoci cosa pensa Gabriele, pardon Jack, di noi critici. E vi dirò, sono pure d’accordo.

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