Quel triste bis dell’alluvione in Sardegna (da cui non impariamo mai)

Due anni. Sono passati la bellezza di due anni e non è cambiato nulla. La stessa zona, in cui persero la vita nel 2013 Patrizia Corona e la sua piccola di due anni Morgana, è di nuovo sott’acqua. A Olbia non bastano i 17 morti provocati dal ciclone Cleopatra. Il fango e l’acqua di queste ore sono ricomparsi come qualche novembre fa.

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Gli argini del rio Posada dovevano esser pronti nel 2011. Niente è ancora finito. Per i danni causati dal ciclone Cleopatra la sera del 18 novembre del 2013, sono finite sotto indagine 46 persone, tra politici locali, dirigenti della Provincia e alti funzionari del Corpo forestale e dell’Ente foreste regionali. Ma mentre la magistratura è andata avanti il cantiere del Posada è stato sbloccato solo nel maggio 2015, dopo svariate proteste: il consorzio che si era aggiudicato la gara d’appalto non poteva pagare gli stipendi dei lavoratori da mesi.

Perché questo bis doloso?

Servono un miliardo e 200 milioni per mettere in sicurezza la Sardegna dal fenomeno dalle alluvioni. Anche più, dato che questa è l’ultima stima calcolata e parla di un territorio analizzato nel 2004. Quei soldi non ci sono. L’isola può contare su 417 milioni e su 110 milioni stanziati dal governo nazionale nell’ambito del piano Italia Sicura. Questo agosto, per il dissesto idrogeologico, è stato infatti elargito il 10% di quanto stanziato per l’intero territorio nazionale. Si tratta della quota di Italia Sicura – specifica la Regione – soldi immediatamente spendibili. A Olbia sono stati destinati 81,2 milioni di euro «per la mitigazione del rischio idraulico nel territorio del Rio Gadduresu, Rio San Nicola e Rio Seligheddu». A Cagliari 30 milioni per mettere al sicuro Pirri.

Ad agosto. Un mese fa.

Provate a scorrere le gallery e i tweet di queste ore. Troverete molte di quelle zone prima citate sott’acqua. I problemi – sottolineava la Nuova Sardegna qualche giorno fa – sono molteplici. Primo: la mancanza di fondi. Tutti i comuni che hanno fatto richiesta hanno ricevuto il 25% dei fondi necessari per realizzare le infrastrutture. Il secondo è ben spiegato dalle parole di Ivana Russu, assessore alla protezione civile del Comune di Olbia. Parole contro il manuale operativo della protezione civile: «È il manuale dei sogni. Attribuisce competenze importanti alle province, ma non considera che questi enti non hanno più fondi, o che quella di Olbia-Tempio verrà chiusa. Non ci sono mezzi, né personale per il monitoraggio o la pulizia dei canali».

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Sul dissesto idrogeologico l’Italia è come il ponte di Via Vittorio Veneto a Olbia, ricostruito un anno fa dopo l’alluvione di Cleopatra e ora buttato giù per far defluire la furia del Rio Siligheddu.

La storia e l’acqua sporca di Olbia sono una piccola e amara lezione che rischia di esser ripetuta in diverse regioni. Siamo un paese che ha i fondi per avviare i cantieri ma abbiamo una burocrazia e una tale mole di ricorsi al Tar capaci di paralizzare per mesi i lavori necessari.

Francesco Mazzoccu e il suo bimbo Enrico persero la vita quel novembre del 2013. Pasqualino Contu decise di dire addio a tutto dopo che la sua azienda fu messa in ginocchio dalla piena del fiume Cedrino. Perché il fango porta via vita e speranze anche settimane dopo il suo passaggio. E fa male, specialmente quando cala l’attenzione dei media. Chi racconta ai parenti e colleghi di queste persone che questa assurda storia può ripetersi ancora?

(in copertina Olbia, 01 ottobre 2015. Foto Ansa)

 

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