Quei veti incrociati che complicano la strategia anti-Isis dell’Occidente

Veti incrociati rendono complicata una strategia congiunta contro il Califfato. Come spiega il Messaggero, l’Occidente su Siria e lotta all’Isis è tutt’altro che unito. Il nodo principale è sopratutto il destino di Assad: se per gli Stati Uniti il presidente siriano è responsabile del «massacro di decine di migliaia di civili» e, dopo quattro anni e mezzo di guerra civile, «la Siria non può tornare alla situazione di partenza», la Russia invece considera il presidente siriano «un combattente contro il terrorismo e l’unico legittimato a Damasco».

USA RUSSIA OBAMA PUTIN Compromesso

ISRAELE, IRAN E TUTTI I NODI DELLA STRATEGIA ANTI-ISIS –

Secondo Alessandro Orsini, il direttore del Centro Studio sul Terrorismo dell’Università di Roma Tor Vergata intervistato dal quotidiano romano, si registra però un possibile punto di svolta sulla Siria: l’intesa tra Angela Merkel e il leader turco Erdogan sul fatto che Assad, ostile alla Turchia, potrebbe continuare a svolgere un ruolo nel passaggio verso una nuova Siria. Si legge:

«Una notizia che vale più di mille bombardamenti», secondo Orsini. Non a caso, qualche giorno dopo ecco il raid francese sul campo d’addestramento dell’Isis a Deir ez Zour, Nord Est del Paese. Colpire il Califfato significa alleggerire la posizione militare dell’esercito di Assad. Dentro e attorno alla Siria le diverse potenze dispongono le loro pedine, in difesa dei rispettivi interessi. Il ruolo maggiore lo esercitano Iran, Iraq, Israele, Giordania e poi Russia, Turchia, Arabia Saudita e Paesi del Golfo, Stati Uniti e Francia, Gran Bretagna, Germania, Italia. La mossa più abile non l’ha fatta la Francia con i raid ma la Russia, sul terreno con uomini e mezzi semplicemente per blindare il regime di Assad a Damasco che pur controllando solo una parte della Siria, rappresenta l’ultimo pilastro di stabilità statuale contro l’assalto delle bande nere».

Dalla vicenda ucraina, intanto, l’attenzione si è spostata sul Medio Oriente. La Federazione russa ha l’interesse a riconquistare un ruolo regionale, posizionandosi in attesa del dopo-guerra. Ma anche a «riallacciare un rapporto con l’Iran a favore di Bashar el Assad, e preservare l’unica base russa nel Mediterraneo a Tartus»: 

Si tratta di una «politica estera spregiudicata ma efficace quella di Putin, che mira anche a instaurare un legame con l’Iran e quindi mettere in imbarazzo gli Usa. Obama, titolare di una politica estera autonoma rispetto alle sinergie con l’Europa, mantiene la sua scelta di non mettere gli stivali nella sabbia ma di guerra a bassa intensità e ricamo diplomatico per contenere tutti i protagonisti del risiko siriano. L’accordo sul nucleare con l’Iran è stato possibile anche grazie a rassicurazioni americane ai Paesi del Golfo che escludono un ulteriore potenziamento di Teheran. E mentre la Russia promuove il proprio matrimonio d’interesse con gli ayatollah, l’America di Obama non vuole il coinvolgimento pieno dell’Iran nella soluzione del puzzle siriano. Quanto alla Turchia, l’ambiguità verso l’Isis, dimostrata dal flusso per mesi e mesi di foreign fighters e armi attraverso la frontiera verso i territori siriani controllati dal Califfo, si spiega con quello che è l’unico vero tarlo di Erdogan: impedire la creazione di uno Stato curdo alle porte della Turchia. Va bene quindi arginare l’Isis ma senza affondarlo. E attaccare invece le posizioni curde con la scusa di intervenire contro i jihadisti.

C’è poi la posizione di Israele: per Tel Aviv, Teheran è più pericoloso dell’Isis:

«Inspiegabile, anche agli occhi degli altri europei e degli americani, l’ordine di attaccare di Hollande. Inspiegabile perché non coordinato con gli “alleati”, inserito in una rivendicazione sciovinista di un ruolo perduto e nella presunta difesa della sicurezza nazionale. Ragione che si possono “leggere” in una analisi del responsabile Difesa e sicurezza del Financial Times, Sam Jones, ieri: «Lo Stato islamico del Levante e dell’Iraq (Isis) guarda all’estero per rafforzare il Califfato». Come organizzazione settaria sunnita che ha per bersaglio anzitutto i “fratelli coltelli” sciiti, l’Isis non costituiva ancora una minaccia epocale per l’Occidente. Ma adesso si moltiplicano i segnali di un graduale passaggio dalla strategia dei “lupi solitari”, autori di atti di terrorismo isolati, a una sorta di espansionismo terrorista, per usare le parole di Nigel Inkster già vice-capo del britannico MI6: «Loro adesso hanno un dipartimento di pianificazione di attacchi all’estero». Il vecchio franchising di Al Qaeda cede il passo a progetti diretti e campagne globali. È questo, oggi, l’incubo degli 007 occidentali.

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