Festival di Venezia: Spotlight racconta la pedofilia nella Chiesa – RECENSIONE

Difficile parlare di Spotlight, qui al Lido fuori concorso, senza vergognarsi. Difficile dirvi che il protagonista che brilla per la sua assenza – nel film lo vediamo solo tre volte, nella storia vera ha agito solo per difendere i suoi – ora esercita il suo mandato spirituale a Roma, a Santa Maria Maggiore, e si chiama Bernard Francis Law, cardinale in pensione (dorata). Difficile raccontarvi infine che quello che vedrete nel film in questione, qui a Venezia 72 fuori concorso, e acquistato da Bim, è tutto vero.

spotlight recensione
Photocredit: Kerry Hayes

SPOTLIGHT, IL FILM –

Thomas McCarthy, per chi non lo conoscesse, è un buon attore – lo avrete visto e magari non riconosciuto in Michael Clayton e Flags of our Fathers – e un ottimo regista. A lui si deve uno dei film più belli e poetici sull’immigrazione in America, L’ospite inatteso, a lui dobbiamo il ritornare su uno degli scandali più atroci e insopportabili della Chiesa cattolica, la “retata” di preti pedofili a Boston (quasi 250 per un numero di vittime minorenni a quattro cifre). Merito della giustizia americana? No. Merito di un prete pentito? Neanche. Merito della politica o della società civile? Figuriamoci. Anzi, tutte queste realtà hanno armoniosamente agito per coprire quei delitti, facendone persino un racket estremamente redditizio.
A scoprire quella infamia fu un gruppo di giornalisti, anche un po’ sfigati, grazie a un direttore illuminato e coraggioso e a un editore che non si mise di traverso, semplicemente perché la verità è sacra, per chi per lavoro la cerca e vuole raccontarla. Parliamo del Boston Globe: più della metà di abbonati cattolici, organo di stampa più diffuso nella città che è cresciuta attorno alla Chiesa che l’ha tradita.

spotlight recensione
Il regista Thomas Mccarthy

SPOTLIGHT LA RECENSIONE –

McCarthy racconta il lavoro di quel gruppo, lo Spotlight appunto (in italiano: riflettore, inteso come quel cono di luce che illumina il protagonista di uno spettacolo o, in questo caso, squarcia il buio della menzogna), che per mesi scava nel fango di preti pedofili, connivenze politiche, abusi su minori. Lo fa attraverso il reporter Mark Ruffalo – che pur sforzandosi gigioneggiando come il peggior De Niro degli ultimi anni non riesce a rovinare il film -, la giornalista Rachel McAdams, il caporedattore Michael Keaton, che dimostra come la sua terza giovinezza iniziata con Birdman è una realtà. Il coté giornalistico di questo film è degno del capolavoro Tutti gli uomini del presidente, soprattutto grazie a una sceneggiatura semplicemente perfetta, quello morale, spirituale ed emotivo a un racconto registico asciutto e implacabile. Sentiamo le vittime, spezzate, leggiamo con loro le lettere che il cardinal Law ha ignorato per quarant’anni, ci indigniamo per le minacce velate di ipocriti tonacati e non, rimaniamo sconvolti da una lobby di avvocati così avidi da mangiare sull’innocenza perduta di diverse generazioni di bambini. Tutti troppo deboli per (re)agire, tutti troppo meschini per capire. Con Law a farsi applaudire per le parole illuminate post 11 settembre mentre nuota nel guano del suo sistema perfetto di insabbiamento, tra congedi temporanei e malattie tattiche per trasferire i prelati pedofili. Durato almeno 40 anni, dal 1962 in cui gli arriva la lettera di una madre i cui sette figli sono stati, tutti, molestati dallo stesso prete, al 2002 in cui esce l’inchiesta sulla prima pagina del Globe. McCarthy non sceglie la strada facile dell’empatia e del sensazionalismo, ma quella rigorosa della ricerca della verità. Ed è per questo che lo spettatore è inchiodato alle sue responsabilità. Perché come dice Keaton in una delle scene più belle, tutti hanno colpe. Per non aver fatto abbastanza, e in tempo. Il giornale, che poteva scoprirlo nel 1993, gli avvocati pentiti che hanno scritto lettere non lette, i politici troppo deboli, la Chiesa incapace di punire in Terra chi in Cielo non arriverà mai.

VENEZIA 72, L’INFANZIA VIOLATA –

Ma non è solo Spotlight a raccontarci l’infanzia violata. Lo fa anche Cary Fukunaga, regista che True Detective ha portato alla ribalta internazionale, e che decide, con il supporto di Netflix in produzione e distribuzione, di mostrare la follia dei bambini-soldato, con una favola nera di un bimbo felice che si trasforma in macchina da guerra nell’Africa dimenticata e stuprata dalla violenza costante e manipolata dal civilizzato occidente. Agu, il protagonista, e il suo comandante (un ottimo Idris Elba), in un racconto spietato e a tratti insostenibile, barocco nello stile a volte ma efficacissimo nello spaccarci il cuore, ci mostrano come ora più di un tempo non sappiamo prenderci cura del nostro futuro. A Boston come nella repubblica subsahariana mai citata  – non è importante dove, ma come – di Beasts of No Nation, primo film in concorso passato qui in Laguna.

Share this article