Hacking Team e quelle indagini “bruciate”

Tra le indagini che rischiano di venire “bruciate” o sono state danneggiate dopo l’attacco hacker subito dalla società Hacking Team diverse sono quelle per terrorismo. E nella lista c’era anche quella che ha portato all’arresto a Brescia del tunisino Lassad Briki e del pachistano Muhammad Waqase, sospettati di voler colpire la base militare di Ghedi e compiere altre azioni in nome dell’Isis. Anche queste effettuate con le apparecchiature di «Hacking Team srl». A rivelarlo, come spiega il Corriere della Sera,  il capo della polizia Alessandro Pansa nel corso di un’audizione al Copasir.

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HACKING TEAM E QUELLE INCHIESTE A RISCHIO –

Pansa ha spiegato come si sia deciso di far scattare i provvedimenti prima che fosse troppo tardi, per scongiurare il rischio che i due accusati potessero scoprire di essere «pedinati» e fuggire. Si legge sul Corsera:

«Altre inchieste, “alcune proprio sui fondamentalisti islamici, sono state invece bloccate quando è stato svelato su internet il “codice sorgente” del sistema utilizzato oppure hanno subito gravi danni”. A rivelarlo è stato il capo della polizia Alessandro Pansa al comitato parlamentare di controllo. E ha così confermato il danno pesantissimo provocato dall’intrusione dei «pirati» nel sistema della società milanese. In realtà le conseguenze rischiano di essere ben più serie – con attacchi che in futuro potrebbero riguardare le reti elettriche e ferroviarie, ma anche possibili ricatti industriali portati avanti grazie ai dati «rubati» -, però quanto emerso già dimostra quali interessi si muovano dietro l’azione, che non ha ancora un colpevole né un movente preciso.

Pansa mantiene riserbo su accertamenti in corso e fascicoli chiusi, ma ha denunciato: «Abbiamo dovuto sospendere l’attività di intercettazione». Questo perché, ha aggiunto, il «Remote control system» della «Hacking consentiva di introdursi nei sistemi informativi degli indagati», smartphone compresi. Con il codice sorgente, però, i sospettati avrebbero potuto scoprire le indagini nei loro confronti. Oltre alle inchieste per terrorismo, le intercettazioni in corso riguardavano reati contro la pubblica amministrazione e relativi alla criminalità organizzata. I computer della Polizia, secondo quanto ha spiegato Pansa ai parlamentari, non sono stati violati, mentre sono ancora in corso le verifiche per stabilire quanti e quali dati siano stati trafugati. Gli autori? Per Fiorenza Sarzanini sul Corsera, resta «privilegiata la pista che qualcuno sia riuscito a rubare i «codici» grazie a complicità interne, ma la convinzione è che si tratti di un’organizzazione legata a uno Stato estero, non necessariamente «nemico». Qualcuno che potrebbe usarli in futuro contro enti, istituzioni o grandi aziende private».

HACKING TEAM, L’EX DIPENDENTE E I CONTATTI CON I GRUPPI EVERSIVI –

Il Fatto Quotidiano ha invece svelato come nelle e-mail rubate dagli hacker ci siano le tracce di un ex dipendente che lavora per gruppi eversivi. A spiegarlo all’ad di Ht David Vincenzetti è un agente segreto. Si legge sul Fatto:

«Quando scrive al  signor “G” – l’agente segreto, ndr – Vincenzetti spedisce le proprie lettere a un indirizzo privato che, stando ai documenti pubblicati su Wikileaks, corrisponde alla mail di Antonio Vitale, un generale che lavora per i servizi alla presidenza del Consiglio. E, spulciando tra le lettere, si scopre che è il Signor G, a rivelargli un fatto inquietante: un ex collaboratore di Ht sta lavorando con hacker stranieri che collaborano con organizzazioni terroristiche. […] Vincenzetti racconta che il 6 maggio 2014 è stato convocato da G. nella sede di Ht per discutere della necessità che l’azienda resti italiana e del suo personale. [..]». È allora che svela delle collaborazioni pericolose dell’ex dipendente, poi «il generale chiede informazioni su altri due dipendenti. E lo stesso G. chiede di parlare con uno dei due dipendenti»

L’uomo alla fine non c’è, ma a incontrare il dipendente c’è un altro uomo dei servizi, il «signor C.», che – secondo il Fatto – corrisponde al colonnello Riccardo Russi. Si legge sul quotidiano diretto da Travaglio:

«Il Signor C. incontra il collaboratore da solo, per circa 75 minuti e Vincenzetti annota che il dipendente esce dalla stanza “bianco in volto”. Il signor C. incontrerà il dipendente anche due giorni dopo: Vincenzetti commenta che ha “letteralmente stanato e portato alla luce del sole” il loro vero progetto rendendo all’azienda “un servizio di impareggiabile valore”. In sostanza, in collaborazione con un dipendente interno, i due dimissionari – secondo la ricostruzione di Vincenzetti – stavano costituendo un’azienda che avrebbe danneggiato Ht. Il 12 maggio un altro dipendente racconta a Vincenzetti di aver scoperto qualcosa in più: il progetto era quello di commercializzare un “antidoto” ai software di Ht, da vendere a Paesi stranieri, in grado di offrire una protezione contro i Governi che usano la loro tecnologia. Vincenzetti invia la sua testimonianza al signor C.», ricostruisce Massari sul Fatto. Poi il Ceo di Ht informa i soci dell’azienda, convinto di essere di fronte a un caso di “spionaggio industriale. E teme contatti tra l’ex dipendente e “Stati Canaglia” del Medio Oriente.

Sul Fatto si spiega poi come HT abbia ammesso di non essere in grado di capire su quali “meccanismi interni” del loro software lavorerà l’antidoto dei concorrenti.

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