Il Dalai Lama attacca Aung San Suu Kyi, scontro tra Nobel per la Pace

Il Dalai Lama ha invitato la collega premio Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi a farsi carico della strage dei Rohingya in Myanmar. Sin dall’esplodere dei pogrom contro di loro, la paladina birmana della democrazia si è infatti trincerata nel silenzio, evitando con cura sia di prendere le parti di questa minoranza perseguitata, che di condannarne i persecutori.

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Il Dalai Lama nel corso di una recente visita in Danimarca (Photo credit CLAUS BECH/AFP/Getty Images)

IL DALAI LAMA CONTRO AUNG SAN SUU KYI –

Il Dalai Lama, leader spirituale dei buddisti tibetani, ha criticato l’icona della dissidenza birmana Aung San Suu Kyi per il suo silenzio sull’odissea dei migranti Rohingya. Secondo i suoi commenti riportati dal quotidiano ‘The Australian’, la premio Nobel per la pace non avrebbe fatto abbastanza per difendere la minoranza musulmana che l’Onu considera tra le più discriminate al mondo. Tanto che solo di recente, a distanza di 3 anni dai primi massacri, la signora si è degnata di prendere posizione dicendo che i Rohingya sono cittadini birmani e non immigrati, e basta.

LA PERSECUZIONE DEI ROHINGYA –

I Rohingya sono appena in un milione e nel mosaico etnico che compone il Myanmar sono gli unici tra i 50 milioni di abitanti ad essere musulmani. Discendenti di lavoratori bengalesi importati dai britannici nell’800, in teoria cittadini della Birmania prima e del Myanmar poi, da sei generazioni. In pratica invece il governo ne disconosce la cittadinanza e li considera immigrati clandestini e a peggiorare le cose ci sono veri e propri pogrom praticati dai cittadini per bene, guidati dai monaci buddisti, che distruggono le loro abitazioni, negozi e proprietà, spingendoli alla fuga, fino all’esilio.

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LA REPRESSIONE TRA CLERO BUDDISTA E MILITARI –

Per proteggerli il governo ha organizzato dei campi profughi nei quali li rinchiude e li censisce come migranti, anche se buona parte di loro ha o aveva proprietà e una lunga storia di famiglia dimostrabile. Così i Rohingya cercano la fuga via mare verso la Malaysia o la Thailandia, dove finiscono preda dei trafficanti, più raramente a Est verso il Bangladesh, che è a maggioranza musulmana, ma paese poverissimo. Il sedicente governo democratico del Myanmar, in realtà la vecchia dittatura militare ri-legittimata proprio dal consenso di Aung San Suu Kyi e della comunità internazionale, non fa nulla per proteggere i Rohingya nonostante sulla loro pelle si consumino veri e propri orrori. Sembra anzi complice del monaco nazi-buddista (o Bin Laden buddista) che guida i pogrom e che è uscito di galera proprio grazie all’amnistia in onore del ritorno della democrazia e che ora nessuno si cura di tornare ad arrestare, lasciandolo libero di predicare odio e d’incitare i suoi a far strage degli odiati Rohingya.

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