Inside Out | Recensione | La Pixar torna all’antico e sforna un gioiello di successo

INSIDE OUT RECENSIONE –

E’ probabilmente il film che ha riscosso più consensi da parte del pubblico in questo primo scorcio di stagione, riuscendo ad unire padri, madri e figli. Stiamo parlando di Inside Out, il nuovo film della Pixar presentato qualche mese fa al Festival di Cannes.

INSIDE OUT A CANNES

La chiameremo la maledizione del concorso, nel prossimo futuro. In questo 2015 sulla Croisette a raccogliere ovazioni sono solo i grandi titoli fuori dalla competizione per la Palma d’Oro – prima Mad Max e ora il nuovo cult della Pixar Inside Out – e, eccezione alla regola, ma neanche troppo, Nanni Moretti con Mia Madre. Che il primo premio può vincerlo, è vero, ma è qui in qualità di “privilegiato”, essendo il suo film, come successo già altre volte qui in Costa Azzurra, già uscito in sala. Certo, se per Mad Max la collocazione nel programma era comprensibile, anche se temporalmente andava anticipata all’inaugurazione, per Inside Out si fa fatica a capire perché il direttore Thierry Freamaux abbia scelto un lunedì anonimo e non abbia avuto il coraggio di metterlo a correre con i “grandi”. Chissà, forse temeva una Palma d’Oro troppo pop o forse alla Pixar ancora non è sceso giù il boccone amore di Shrek 2.

Inside Out recensione

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INSIDE OUT, LA TRAMA –

Cinque protagonisti. La Gioia, la Paura, il Disgusto, la Rabbia e la Tristezza. Vivono nella testa della piccola Riley, 11 anni e una vita davanti. Ma anche tanti ricordi – a perdita d’occhio nell’immaginario di Pete Docter – che le faranno pesare, e non poco, il passaggio dal Minnesota a San Francisco, a causa del nuovo lavoro del padre. Storia già vista – e di solito, va detto, spunto per cinema horror o melodrammatico – ma alla guida di questa avventura cinematografica c’è Pete Docter. E quella testa così affollata diviene il pretesto per un lungo viaggio comico e commovente in un’età difficile e in quelle fragilità che, disegnate, fanno meno paura. O forse di più.
Alice nel Paese delle Meraviglie era il contrario, una ragazza che entrava dentro la Fantasia e l’inconscio. Qui entrambe invadono una povera bambina che da loro sembra quasi telecomandata. E che deve il suo equilibrio al saper fare squadra di quelle cinque emozioni. E proprio un litigio tra Gioia e Tristezza rischia di far andare tutto in fumo. Ricordi, passioni, valori. Perché quando si cresce, tutto può diventare un terremoto. E ci vuole il coraggio di capirsi e di sacrificarsi per vincere la più difficile delle battaglie: diventare grandi senza smettere di essere bambini.

InsideOut Protagonisti

INSIDE OUT, LA RECENSIONE –

Pete Docter, già autore di Up e Monsters & Co., continua nel suo viaggio di comprensione dell’essere umano, meglio se piccolo. Nel caso di Up un bambino e un vecchietto uniscono i loro mondi, per trovare una nuova felicità, nel caso di Monsters & Co. viviamo con divertimento l’integrazione tra diversi e il fatto che ognuno ha un punto di forza, basta saperlo trovare. In fondo, questo tentativo di conciliare mondi apparentemente lontanissimi, è alla base pure di questo Inside Out.

GioiaInsideOut

Un’opera che ha il pregio, tra i tanti, di saper essere originalmente pedagogica e allo stesso tempo capolavoro d’intrattenimento. I cinque protagonisti sono quelle emozioni che raramente viviamo con equilibrio: il regista e il team della Pixar provano a capire, e farci capire, come e perché perdiamo la testa. Perché quei sentimenti, così potenti, fanno fatica a trovare il loro posto essi stessi. E devono prendere consapevolezza di sé, come noi.
Lo fanno giocando all’inizio, rubandosi il posto, infine riconoscendo, pur non negandosi alcun exploit, la leadership della Gioia. Ma anche quello, non è equilibrio. Un litigio interno alla testa della povera Riley, un ricordo conteso, ed ecco che il mondo come lo conosce lei, ma anche il suo cervello, scompare. O meglio si modifica drammaticamente. Come la bimba, anche le sue emozioni principali, Gioia e Tristezza, devono affrontare l’ignoto, il terrore, il sacrificio, la riconquista di sé. Tutto ciò succede con trovate divertentissime, momenti visivi di rara forza – il pagliaccio versione Stephen King, la stanza dell’astrazione (una lezione d’arte) – e alcune scene drammatiche e struggenti, nella loro semplicità. Perché per crescere bisogna sempre uccidere qualcuno e distruggere qualcos’altro. A usare questi verbi nelle metafore è facile, vederlo è tutta un’altra cosa.

Inside Out recensione

 

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E’ meno comica del solito, la Pixar, qui. Vuole un tema adulto, parlando di bambini, non esita a portarci in luoghi bui, in paure lontane, persino nella ferocia di dover perdere qualcosa di fondamentale e dimenticato. Riesce comunque a trovare il modo di farci cadere dalla sedie – i colleghi dei protagonisti nelle teste degli adulti o degli adolescenti maschi sono da Oscar -, ma qui si va oltre. Non a caso molti dei disegni recuperano un’essenzialità d’antan e le grandi capacità tecniche mostrate negli ultimi anni lasciano spazio a una narrazione, visiva e non, altra, più classica. E allo stesso tempo, comunque bella e moderna. L’impressione è che Inside Out potrebbe diventare uno spartiacque, per la Pixar e per l’animazione, come fu, anche pedagogicamente, Toy Story. Un ritorno all’antico, una sfida più simile al Fantasia di Disney (casa madre, ora, dei geni della lampada di Lasseter e soci) che agli ultimi capolavori prodotti da questi eterni ragazzi.

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Di sicuro Inside Out insegnerà ai bambini ad accettarsi ed accettare le emozioni, tutte. Perché sono complementari e necessarie, costrette a collaborare e infallibili se capaci di trovare il posto giusto al momento giusto. E ai genitori che non serve Peter Pan per tornare o rimanere bambini. Basta non dimenticare.

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