Chi sono i salafiti e da dove vengono

16/04/2015 di Mazzetta

I salafiti si considerano musulmani ortodossi, ma come accade tra le altre fedi monoteiste la presunta ortodossia può essere declinata in moltissime forme e dare vita a gruppi estremamente diversi l’uno dall’altro, spesso divisi da rivalità e odi secolari, perché c’è sempre qualcuno che crede di essere più salafita degli altri.

UNA DEFINIZIONE PER I SALAFITI

La definizione che meglio s’attaglia a definire il fenomeno salafita è quella d’ortodossia sunnita, una corrente presente fin dagli albori dell’Islam che si richiama all’esempio dei salaf, termine che traduce i «predecessori» o gli «antenati», identificati con la generazione dei predicatori contemporanei di Maometto e le due successive.

I salaf sono quindi l’esempio da seguire per il buon salafita e trattandosi di uomini santi e pii, tutto il movimento nelle sue molteplici declinazioni ha assunto un carattere estremamente puritano e rigido contro le deviazioni e le eresie, al punto che buona parte dei salafiti considera eretici o poco meno anche molti degli altri salafiti.

SALAFITI E WAHABITI

Sulla corrente salafita classica si è poi innestata la predicazione di Muhammad ibn Abd al-Wahhab, che nel ‘700 ha rilanciato le pratiche salafite in età moderna. Partendo da una landa desolata della penisola araba, la sua predicazione si è combinata perfettamente con le aspirazione politiche dei Saud e formalizzata in un vero e proprio patto tra Wahhab e Muhammad bin Saud, tanto che ancora oggi i familiari discendenti di Wahhab dominano il clero saudita e occupano le più alte cariche in forza di una promessa di lealtà scambiata tra i due antenati nel 1744. Un accordo che assegnava ai Saud il trono e il potere politico e militare e ai Wahhab la guida e la definizione della dottrina.

I tre pilastri della predicazione di Wahhab divennero così «un re, un’autorità, una moschea», estrema semplificazione totalitaria che dovrebbe garantire il rispetto dell’ortodossia e il perdurare dei Saud al potere. Tipica della predicazione di Wahab è l’ostilità alle «deviazioni» dottrinarie quali il culto dei santi, delle tombe e dei santuari, considerate innovazioni impure e idolatria, che vanno risolte cancellandone ogni traccia.

Centrale nel wahabismo è il concetto di takfir, colui che rifiuta l’autorità assoluta (il sovrano saudita) o che pratica il culto in maniera sbagliata ed eretica, definendo una persona tafkir i wahabiti possono disconoscerne la fede musulmana e trattarla anzi come nemica di Dio.

Per Wahhab tutti i musulmani devono giurare lealtà a un solo capo (il Califfo, nel caso che ci sia) e quelli che non lo fanno devono essere uccisi, le loro mogli e figlie violentate e i loro averi confiscati. Non proprio la predicazione di Maometto, ma per Wahhab gli sciiti, i sufi e gli altri variamente musulmani sono solo apostati che meritano la morte.

Da lui più che dal Corano discende la ferocia con la quale gli uomini dell’ISIS trattano sciiti e adepti di altre confessioni islamiche, che considerano più colpevoli davanti a Dio di cristiani ed ebrei, ai quali in effetti il Profeta e i pii antenati non hanno mai detto che debbano convertirsi o seguire la corretta pratica musulmana.

L’iconoclastia wahabita è anche il motivo per il quale l’ISIS distrugge tronfia il patrimonio archeologico iracheno e per il quale l’archeologia in Arabia Saudita si è risolta nella sistematica distruzione di ogni vestigia del passato che non fosse legata alla predicazione maomettana.

Anche se il pragmatismo dei Saud in effetti ha avuto ragione anche della Mecca e dei suoi dintorni, ormai trasformati in uno sprawl (agglomerato) urbano che serve l’industria dei pellegrinaggi, dalle dimensioni ciclopiche e con gli incassi che vengono di conseguenza. Per molti salafiti o wahabiti sono eretici o giù di lì e l’opinione sui Saud è ancora peggiore.

Veiled women take part in a rally of supporters of the Salafist movement on January 18, 2014 in Pforzheim, southwestern Germany. German Islamic preacher Pierre Vogel (not in picture), also known as Abu Hamza, gave a speech during the event. AFP PHOTO / DPA / ULI DECK / GERMANY OUT (Photo credit should read ULI DECK/AFP/Getty Images)
Veiled women take part in a rally of supporters of the Salafist movement on January 18, 2014 in Pforzheim, southwestern Germany. German Islamic preacher Pierre Vogel (not in picture), also known as Abu Hamza, gave a speech during the event. AFP PHOTO / DPA / ULI DECK / GERMANY OUT (Photo credit should read ULI DECK/AFP/Getty Images)

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L’emergere del wahabismo non è stato accolto con entusiasmo dai salafiti sparsi per il mondo musulmano, ma arrivati agli anni ’70 i due termini sono diventati quasi sinonimi e a separare le due correnti dottrinarie è rimasta quasi solo la fedeltà ai Saud.

I salafiti moderni sono divisi in tre macro-categorie dagli osservatori, ci sono i puristi che si concentrano sull’educazione e le predicazione missionaria, i politici che perseguono la creazione di un califfato attraverso un’azione riformista che rifiuta l’uso della violenza come strumento e poi ci sono gli jihadisti, che perseguono lo stesso scopo, ma che sono convinti che per raggiungerlo sia preferibile il ricorso alla lotta armata.

Gli jihadisti sono fortunatamente una minoranza, meno dell’1% dei musulmani secondo le stime più generose. Se l’ISIS e molte formazioni estremiste d’ispirazione salafita appartengono indubbiamente al terzo gruppo, i Fratelli Musulmani sono espressione del secondo e hanno dato vita a forti partiti d’ispirazione musulmana in quasi tutto il Medio Oriente sunnita.

Partiti che a volte sono scesi a compromessi e alleanze con l’ala jihadista, ma che in generale perseguono una strategia politica di adeguamento alla modernità e alla complessità di un mondo che non è più quello di Maometto. Strategia che li allontana dagli ortodossi più rigidi, più di quanto non li avvicinino le aspirazioni convergenti come s’è visto in Egitto, dove la collaborazione tra i Fratelli Musulmani vincitori delle elezioni e i partiti salafiti è stata relativa.

Didascalia:Abdulwahab Al-Homaiqani (C), secretary-general of the Yemeni Rashad Union, the first Yemeni Salafi party, attends a rally alongside party members in the capital Sanaa on January 4, 2014, against the US government's inclusion of Homaiqani on the list of al-Qaeda supporters. The Yemeni news agency said that 'the Republic of Yemen submitted a formal request to the American authorities to provide evidence underlining their decision'. AFP PHOTO / MOHAMMED HUWAIS (Photo credit should read MOHAMMED HUWAIS/AFP/Getty Images)
Didascalia:Abdulwahab Al-Homaiqani (al centro) segretario della  Yemeni Rashad Union, il primo partito salafita del paese. (Photo credit MOHAMMED HUWAIS/AFP/Getty Images)

I SALAFITI IN EUROPA

In Europa i salafiti presenti sono soprattutto i puristi, che offrono l’educazione sunnita tradizionale agli emigrati e ai loro figli, gruppi jihadisti si sono visti all’opera in Bosnia all’epoca della guerra, ma sia i «politici» che i jihadisti hanno poco interesse per l’Europa, che al massimo può diventare obiettivo di colpi volti a vendicare gli interventi occidentali in Medio Oriente.

Le preoccupazioni ventilate da molti relativamente a progetti di conquista dell’Europa sono decisamente premature, tutti i salafiti sono primariamente interessati alla costituzione del califfato, al punto che nel programma politico dell’ISIS persino la presenza d’Israele è considerata una questione da rimandare a dopo la costituzione del califfato.

Un’evidenza che ci dà parecchio tempo, se non bastasse quella per la quale qualche migliaio d’improvvisati guerrieri non può certo impadronirsi di un continente che ospita più di mezzo miliardo di persone, che è armatissimo e che da secoli fa il bello e il cattivo tempo anche in casa degli aspiranti califfi.

I SALAFITI IN ALGERIA

L’evoluzione del fenomeno salafita in Algeria è paradigmatica in quanto ha preceduto e annunciato dinamiche viste all’opera nel decennio successivo tra il salafismo jihadsta. Il rifiuto del regime algerino di riconoscere la vittoria elettorale del Fronte Islamico di Salvezza agli inizi degli anni ’90 portò alla formazione prima del Gruppo Islamico Armato (GIA) e poi del Gruppo Salafita per la Predicazione e il Combattimento (GSPC).

In questi gruppi confluirono gli jihadisti che avevano combattuto in Afghanistan e nei quali convivevano l’animo universalista e quello djazarita (da al-djazairia, l’Algeria), riproponendo così un dualismo che si manifesterà in tutte le manifestazioni jihadiste a seguire e che resta osservabile ancora oggi nell’Africa del Nord, in Siria, in Yemen, Somalia e Nigeria, paesi nei quali si combatte con un occhio spesso distratto a un califfato distante nel tempo e nello spazio e molto concentrati sulla realtà e la politica locale che invece incombono.

Quel che resterà dopo la mattanza algerina del GSPC, una volta tramontata qualsiasi prospettiva di successo locale, darà vita da al Qaeda nel Maghreb e al tentativo di costituire un califfato in Mali. Il gruppo cercherà poi di affiliarsi prima ad al Qaeda e poi all’ISIS.

Proprio in Mali si vedrà l’afflusso di combattenti dall’Europa e dal resto del mondo che poi fornirà la chiave del successo dell’ISIS in Siria, un meccanismo che si giova da un lato dell’opera di predicazione e reclutamento nelle scuole coraniche e nelle moschee e dall’altro dei cospicui finanziamenti provenienti dai paesi dei Golfo, che come ai tempi dell’Afghanistan hanno trovato nei fanatici la carne da cannone da scagliare prima contro i sovietici e ora contro Assad.

Come in Afghanistan sembra che la tattica abbia funzionato fino a un certo punto e, come in Afghanistan con i talebani e i qaedisti, in Siria l’ISIS è poi diventata una forza che persegue un progetto egemone e autoritario in proprio.

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I SALAFITI IN EGITTO

In Egitto i salafiti sono stimati tra i cinque e i sei milioni e divisi in diversi gruppi e partiti, tra i maggiori la Società Al-Sunna Al-Muhammadeyya (conosciuta anche come Ansar Al-Sunna), la Chiamata Salafita (che ha dato origine al partito Al-Nour dopo la rivoluzione), il salafismo Al-Madkhaliyya, l’Attivismo Salafita e Al-Gam’eyya Al-Shar’eyya.

Gruppi riuniti alle prime elezioni libere nel Blocco Islamico, che si è piazzato secondo dopo i Fratelli Musulmani e il loro Partito per la Libertà e la Giustizia conquistando 127 dei 498 seggi a disposizione.

I Fratelli Musulmani egiziani all’epoca erano considerati i più vicini ai sauditi e finanziati da Riyad, poi i Saud di fronte al pericoloso dilagare delle primavere arabe hanno deciso di appoggiare il golpe di al Sisi, che li ha spediti in galera e falcidiati con condanne all’ergastolo, quando non a morte.

I SALAFITI TUNISINI

I primi segnali evidenti  del mutamento ideologico e strategico del salafismo, da movimento riformista e tollerante a movimento fondamentalista, si sono manifestati in Tunisia negli anni trenta del secolo scorso.

Tuttavia nel paese la presenza prima del colonizzatore francese e poi di un regime laico e ferocemente repressivo verso qualsiasi opposizione impedito al movimento tunisino di svilupparsi, tanto che nel paese ancora oggi esistono solo gruppi che non hanno presa sull’elettorato, per lo più composti da elementi radicalizzati che si nascondo nella parte più impervia del territorio o che preferiscono impegnarsi in Siria più che nel loro paese.

Il recente attacco al museo del Bardo, per quanto clamoroso e sanguinoso non può essere considerato la manifestazione di forza di un gruppo potente, quanto piuttosto un’azione di bandiera in mancanza di opportunità migliori e diverse.

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