#LostinHappio, il centro commerciale che non t’aspetti

Da quando l’alieno è atterrato su questo mondo, ha scoperto Renzi, Rizzo, il Transatlantico (non il Titanic, ma quello politico, pure più catastrofico) e persino Sanremo. Il direttore Marco Esposito ha dimostrato un certo sadismo nello spedire il suo inviato extraterrestre negli ultimi luoghi in cui quest’ultimo avrebbe voluto essere. E conoscendo l’agorafobia del sottoscritto, ha pensato bene di spedirlo all’inaugurazione di Happio – ardito nome che unisce il quartiere Appio all’inglese Happy, che vuol dire contento -, del nuovo mall capitolino. Un po’ come mandare Superman a una mostra di sculture di kryptonite.

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HAPPIO, NON SOLO SMARTPHONE –

Leggende metropolitane e cronache apocalittiche ricordano che per i prodotti Apple altri centri commerciali o megastore, in occasioni di offerte imperdibili, fossero stati presi d’assalto con assenteismi più alti, in zona, di quelli dei vigili urbani a Roma a Capodanno, intemperanze degne di tifosi del Feyenoord, file da Salerno-Reggio Calabria. Ad Happio no: un po’ di traffico sull’Appia nuova, ma arrivati là, il megastore che vende telefonia, elettrodomestici, tablet, pc e macchine fotografiche viene piuttosto snobbato. La fila selvaggia, piuttosto, arriva fino al furgoncino di “Pizza e Mortazza”. La crisi ha fatto questo, niente smarphone ma opere suine. Ovviamente l’alieno si è sacrificato e ha deciso di provare l’alimento (in questo caso gratuito) tanto agognato. Per essere sicuro del proprio giudizio, peraltro, ha deciso di fare la fila cinque volte. E il simpatico fornitore di cibo tipico, alla fine del ripetuto esame, è stato promosso. Lo immaginate, è stata dura, ma qualcuno questo lavoro doveva pur farlo.

HAPPIO, I MEZZAROMA, LA CRACKING ART E… TOR SAPIENZA –

Girando girando, un po’ appesantito dal sapido alimento, l’alieno, mai alieno al fascino femminile, viene rapito da un interessante colloquio di giornalisti e responsabili dell’edificazione di questo luogo. Ufficialmente si è fermato per imparare cose nuove e capire il ruolo urbanistico e sociale di Happio qui a Roma, ma la verità è che aveva visto Valentina Mezzaroma e ipnotizzato, come avesse incontrato il pifferaio magico, è entrato. Scoprendo cose interessanti, tra cui la propria capacità di dissociare il senso della vista da quello dell’udito. Il primo era rivolto solo alla bionda imprenditrice, il secondo alle parole dei Mezzaroma, e non solo. Scoprendo che Happio non era il solito luogo infernale, piuttosto trash, in cui lo shopping è l’unico dio e che ingoia folle intere in un vacuo turbine di consumo e ozio. Intanto, non siamo di fronte alla solita astronave che sembra partorita dalla mente malata di un Darth Fener con il gusto estetico di Malgioglio. La pur imponente costruzione è moderna ma sobria, si sviluppa in basso senza quindi rappresentare un invadente pugno in faccia nello skyline della Capitale, ha persino una sua simmetrica armoniosità. E dentro non ci sono rifiniture in oro. Poi, qui non c’è il solito discount, supermercato, ipermercato. No, quando si metteranno d’accordo tutte le anime del mercato rionale – un miracolo che sarebbe pari a scoprire la vita su Marte, a sconfiggere il correntismo nel Pd e a far vincere un trofeo alla squadra della città dai colori giallorossi, tutto contemporaneamente – questo centro commerciale lo ospiterà. Sì, arriverà il mercato coperto del quartiere, con prodotti genuini e un interessante corto circuito tra vecchio e nuovo. E avrebbe avuto, vicino, anche uno splendido spazio verde. Se, dicono le voci, la presidentessa del municipio non l’avesse considerato inappropriato. Buon per i costruttori che han risparmiato 2,5 milioni, pare, male per clienti e cittadini.
A Roma quelli come “Pietro Mezzaroma e figli” li chiamano palazzinari, scopre l’alieno dal solito vecchietto che, in assenza di lavori in corso nelle vicinanze, ha deciso di venire a guardare Happio. Dice pure “facce caso regazzì, c’hanno tutti nomi d’arte: questo, per esempio, mezza Roma ce l’ha sul serio. E nun te dico de quello che se chiama Coppola”. Decido di non approfondire.
Alzo la testa e scopro che quei punti di colore sulle pareti, sono enormi lumache. Eppure lupi e suricati (cosa sono? Li chiamano pure gatti delle rocce, ma sembrano più topi scoiattolosi). Mi dicono che è cracking art. Sono 126, gli artisti che le fanno sono di Biella, e grazie al rapporto stabilito con Barbara Mezzaroma per la prima volta danno i loro capolavori a un grande spazio privato. Ovviamente han fatto subito merchandising di tutto ciò. Mille bustine numerate con riproduzioni più piccole di questi animaletti di materiale riciclato verranno vendute e il ricavato servirà a finanziare il percorso da Tor Sapienza e il MAAM, il Museo dell’Altro e dell’Altrove. Hai capito “sti palazzinari”: vogliono riqualificare pure i quartieri dove non hanno costruito un centro commerciale. Mica male.

HAPPIO E LO SHOPPING –

Poi, per carità, il consumismo c’è. Giustamente, è un centro commerciale. Diecimila metri quadrati (e 3500 di mercato rionale), 38 negozi, 330 parcheggi (che di sicuro, in quel quartiere in cui trovare un posto per l’auto è più difficile di far vincere un Europeo alla nazionale italiana di calcio, verranno presi d’assalto anche da chi non entrerà nel mall) la dicono lunga sulle previsioni di frequentazioni di questo luogo. E sulla speranza di fatturato che ci si aspetta. Ma visto che da quando sono arrivato su questo pianeta, sento dire che il centro commerciale è la nuova piazza, farlo bello, metterci opere d’arte, non renderlo un edificio volgare e invasivo, cercare di renderlo utile alla città e strumento di integrazione tra diverse realtà, è un merito.

Happio, insomma, va rivisto e seguito. Intanto, però, mi rimetto in fila per la pizza con la mortadella. Sono alieno, mica scemo.

 

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