La lunga marcia di Jeb Bush verso le primarie repubblicane

18/04/2015 di Mazzetta

Un terzo Bush aspira alla presidenza e marcia su Washington con passo sicuro, ma la sua marcia promette d’essere molto dura nonostante sia il candidato repubblicano più pesante tra quelli che per ora si stanno avvicinando ai blocchi di partenza per le primarie del Grand Old Party.

Ritratto di famiglia, George e Jeb Bush, sua madre Barbara e la moglie Columba nel 2002 (Photo credit  JOE BU/AFP/Getty Images)
Ritratto di famiglia, George e Jeb Bush, sua madre Barbara e la moglie Columba nel 2002 (Photo credit JOE BU/AFP/Getty Images)

John Ellis Bush, «Jeb» viene dalle iniziali J.E.B., è nato a Midland nel 1953 ed è il fratello più giovane di George Walker Bush e figlio di George Herbert Walker Bush,  presidente degli Stati Uniti per due mandati, superando il padre che si è fermato a un mandato da presidente e uno da vicepresidente. Se fosse eletto presidente rafforzerebbe il record già detenuto dalla famiglia – unica con due presidenti e per di più padre e figlio – e diventerebbe il secondo presidente cattolico dopo Kennedy, il primo sposato con un’ispanica e che parla fluentemente lo spagnolo.

JEB BUSH, LA CARRIERA –

A differenza del fratello che ha avuto un’adolescenza, e anche oltre, da scapestrato, Jeb si è segnalato fin da subito per l’intraprendenza e per la capacità di far fruttare economicamente le relazioni della famiglia. Si è trasferito in Florida nel 1981 con la moglie Columba Garnica de Gallo, conosciuta durante un periodo di volontariato in Messico e sposata nel 1974, perché a Houston nel Texas  la coppia soffriva per i pregiudizi nei suoi confronti. In Florida lì ha cominciato a far fortuna nel campo immobiliare, pur seguendo da vicino l’attività e le campagne del padre, nominato vicepresidente nel 1980. Nel 1986 diventa Secretary of Commerce dello stato, carica che lascerà nel 1988 per seguire la vittoriosa candidatura del padre alla presidenza.

Mancata di poco l’elezione a governatore della Florida nel ’94, ci riprova e riesce nel ’98, ottenendo la carica che manterrà per due mandati consecutivi e che sarà costretto a lasciare dal limite dei due mandati. Sfortunatamente per lui il 2008 non era il momento buono per candidarsi a ruota dei disastri combinati dal fratello e dai «FOBs» (Friends of Bush) il potente plotone neo-conservatore (neocon) che ha diretto la politica statunitense mentre il non troppo capace fratello ci metteva la faccia. Al turno successivo il ricordo di G.W bruciava ancora e Obama si presentava imbattibile,  saggiamente Jeb si è tenuto fuori dalla mischia.

Ora come nel 2008 il candidato democratico più accreditato sembra Hillary Clinton e si profila la possibilità di vedere una riedizione dello scontro Bush-Clinton, che all’epoca costò il secondo mandato al padre, e Jeb si è presentato determinatissimo ai blocchi di partenza. Uno scontro che se dovesse avere luogo potrebbe portare la terza presidenza alla famiglia Bush o portare i Clinton a condividere il record a quota due insieme agli Adams (come mi hanno ricordato nei commenti), che hanno espresso il secondo e sesto presidente. Ipotesi che sembrano entrambi inquietanti , in particolare per l’elettorato repubblicano.

Dal punto di vista repubblicano Bush ha le carte in regola e una discreta esperienza maturata come governatore della Florida, molto superiore a quella maturata dal fratello in un mandato da governatore del Texas, trascorso per buona parte nel suo ranch come poi pure la presidenza. Da molti repubblicani viene percepito come troppo «liberal» (nel senso che ha negli Stati Uniti) nonostante un curriculum da far sembrare Obama un comunista, che è poi è ciò che è convinta che sia buona parte della base repubblicana, al netto di quelli che lo credono un musulmano.

Jeb e Columba nel 2012
Jeb e Columba nel 2012

JEB BUSH, UN REPUBBLICANO ATIPICO MA NON TROPPO –

Durante il suo servizio come governatore Bush ha varato una dozzina di leggi a favore del porto d’armi e di chi lo detiene, approvato per primo negli Stati Uniti la terrificante legge stand-your-ground, che permette di sparare a chi mette piede sul proprio prato, e sostenuto la pena di morte senza mai commutare una sentenza. In compenso ha fatto fuoco e fiamme per impedire che la povera Terri Schiavo, ridotta allo stato vegetale, fosse staccata dalle macchine che la tenevano «in vita» inutilmente da 15 anni. Arrivò al punto di approvare la cosiddetta «Terri’s Law» che autorizzava lui stesso, in quanto governatore, a tenere in vita la donna. Finì con la Corte Suprema della Florida che cassò la legge e quella statunitense che si rifiutò di esaminare il ricorso di Bush, una brutta sconfitta per lui, ma comunque una battaglia che ha pagato politicamente, a livello di consensi.

Bush ha anche reso obbligatorio la notifica ai genitori degli aborti delle minori, introdotto il «pro-life counseling» per le abortienti, vietato la concessione di fondi alla ricerca sulle staminali e ristretto i casi nei quali è permesso l’aborto a quelli nei quali la nascita deriva da incesto o stupro o per motivi di salute. Il che non gli ha impedito di chiedere che un giudice nominasse un tutore per il feto di una donna, mentalmente disabile, che era stata stuprata, al fine di far nascere il bambino. Ha persino autorizzato una targa per autoveicoli con la scritta «Choose Life», sulla quale il suo predecessore aveva posto il veto. Era governatore anche quando il fratello vinse le elezioni proprio dopo un contestatissimo riconteggio dei voti in Florida nel duello tra il fratello e Al Gore del 2000, riconteggio dal quale si è voluto tenere ostentatamente fuori, anche se poi tutto il personale coinvolto dipendeva da nominati dalla sua amministrazione. Tipicamente repubblicana anche la scelta di ricorrere alle prigioni private per ospitare i condannati in seguito alla sua stretta anticrimine.

Le sue posizioni in politica estera sono sicuramente gradite dall’elettorato americano, tra queste ci sono il suo netto sostegno all’embargo contro Cuba, che voleva anzi intensificare, la definizione d Wikileaks come «aberrante», il sostegno mai ritirato alle guerre in Iraq e Afghanistan, la propensione a bombardare l’Iran e l’indefesso sostegno a Israele. In linea anche la netta opposizione alla legalizzazione della marijuana, il favore per i tagli al welfare e per l’aumento dei fondi pubblici per finanziare i gruppi religiosi, decisione questa accompagnata dalla chiara propensione ad aumentare lo spazio di Dio nella sfera pubblica. Buona anche la posizione sul global warming: «Sono uno scettico, non sono uno scienziato», tipicamente negazionista.

A tutte queste benemerenze si contrappongono però tre grossi nei agli occhi della base repubblicana: l’essere diventato cattolico, l’essere percepito vicino all’establishment e la sua posizione in materia d’immigrazione, che vede con occhio favorevole e che descrive come una risorsa per il paese.

JEB BUSH, LA CANDIDATURA –

Nonostante abbia solamente annunciato la sua intenzione di «esplorare» la possibilità di una candidatura, Jeb Bush si è già messo avanti con i lavori e il primo passo della sua strategia è stato quello di cominciare a frequentare Washington con assiduità alla ricerca di fondi. Attività che pare riuscirgli molto bene, visto che in un solo giorno il mese scorso ha raccolto un milione e trecentomila dollari e che ha in programma ancora molti incontri in città. La capitale ha accolto bene Bush, alla famiglia del quale ha versato contributi per più di vent’anni, sostenendone le candidature con discreto entusiasmo, così com’è accaduto dalle parti di Wall Street, dove i tre hanno sempre fatto il pieno mungendo le corporation che dominano l’industria delle armi, quella alimentare, quella dell’energia, del tabacco e in genere tutti i maggiori protagonisti dell’economia, poi ripagati con leggi e politiche che hanno reso sicuramente vincente l’investire nei Bush. Le aspettative da questo punto di vista sono incoraggianti e sia i suoi che gli analisti ai margini della contesa ritengono che frantumerà facilmente il record segnato all’ultima tornata elettorale da Mitt Romney, che riempì le sue casse con 42 milioni di dollari. In più è spuntato dal nulla un gruppo no-profit chiaramente riconducibile a Bush, che in quanto tale non è soggetto a limiti nelle donazioni e neppure ha obbligo di trasparenza sui donatori, una mossa che abbinata al via libera da parte della Corte Suprema ai contributi illimitati da parte delle persone giuridiche, associazioni, società e corporation, sembra dotare Bush di un grosso recipiente per i contributi monstre dei più robusti tra gli attori economici.

JEB BUSH FOR PRESIDENT? –

Cifre che non sono alla portata di concorrenti pur quotati da questo punto di vista come Rand Paul, Marco Rubio, Ted Cruz o Chris Christie e che lo pongono di diritto in testa al plotone di pretendenti, ma a fronte di tanta abbondanza nei finanziamenti sembra che il problema maggiore di Bush sarà quello di conquistare consensi partendo con un fortissimo handicap.

Nei sondaggi preliminari Bush non va e non va nemmeno presso i focus group organizzati dal partito. Un discreto 49% dice di aver pensato di sostenere Jeb Bush, ma c’è un terribile 42% che risponde dicendo che non lo sosterrebbe mai. Quella differenza di +7 punti percentuali è lontanissima dai candidati in pectore che fanno meglio, che vanno dal +36 di Scott Walker al minimo di Rand Paul, che come il padre è il meno gradito dai repubblicani e che fa comunque meglio con un +9.  Se il cognome gli apre le porte di Washington, quando s’arriva a quelle del cuore dell’elettorato repubblicano si trovano quasi solo porte chiuse. Poi c’è che dopo aver perso due elezioni consecutive il partito ha cominciato a pensare allo scopo ultimo, che è quello di conquistare la presidenza, e Bush non sembra il candidato migliore per affrontare Hillary Clinton, sempre che sia lei la candidata democratica.

JEB BUSH, LE PRIMARIE –

Il terzo Bush, quello che in teoria di presenta come più «moderato» e quindi inclusivo dei suoi predecessori, parte quindi in svantaggio sul piano del gradimento interno al partito, tra i grandi come tra i comuni elettori e dovrà usare fino all’ultimo centesimo raccolto per scollinare l’ostacolo delle primarie e conquistare, prima di altri, un elettorato repubblicano che per ora sembra respingerlo. E dovrà farlo in fretta, già prima della discesa in campo dei candidati più accreditati, finora solo 3 hanno presentato la loro candidatura e tra questi solo il senatore texano Ted Cruz può essere considerato in gara. A giocare contro Bush c’è anche la cronologia delle primarie, che nel gennaio 2016 cominceranno in Iowa, dove Bush ha pochissimo appeal e New Hampshire, uno stato notoriamente ostile ai candidati della sua famiglia. Se al termine di questa doppia tornata Jeb non dovesse trovarsi almeno tra i primi tre candidati, la sua candidatura potrebbe affondare poco dopo il via della corsa per le primarie.

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