Metro C di Roma, il sistema Incalza-Perotti negli appalti

L’ombra del sistema Incalza-Perotti si nascondeva anche negli appalti della Metropolitana C di Roma Capitale. Ovvero, l’opera pubblica più cara d’Europa, 2,7 miliardi lievitati fino a 3,7 per 25 chilometri. A rivelarlo è un’inchiesta del quotidiano “La Repubblica“, che riporta come il Ros abbia intercettato conversazioni (trasmesse  “per conoscenza” alla Procura romana) che potrebbero svelare altre malversazioni.

Ercole Incalza Grandi Opere tangenti
Ercole Incalza (Lapresse)

Come precisa il quotidiano diretto da Ezio Mauro, l’imprenditore arrestato nell’inchiesta sulle Grandi Opere Stefano Perotti si era aggiudicato con la sua Spm la direzione dei lavori del terzo tronco della linea, da San Giovanni ai Fori Imperiali (incarico che è stato revocato il giorno dell’arresto): 

«È ancora una volta Giulio Burchi, ex presidente di Italferr e indagato nell’inchiesta fiorentina, a portare involontariamente l’indagine nei cantieri della Metro C. «Grazie a Incalza — si sfoga al telefono parlando del ruolo da asso pigliatutto di Perotti — gli hanno dato un lotto che non volevano dargli a tutti i costi quando c’era Bortoli… di Roma Metropolitane». Ed è ancora Burchi che, al telefono, prima con l’assessore alla mobilità del Comune di Roma ed ex sottosegretario alle Infrastrutture del governo Monti, Guido Improta, e quindi con l’ex tesoriere del Pd Sposetti, evoca il nome di Incalza sullo sfondo della Metro C. Accade infatti che, nel gennaio 2014, Improta chieda a Burchi la sua disponibilità per assumere la guida di “Roma Metropolitane”, la società controllata dal Comune committente dell’appalto. Un carrozzone che impiega quasi 200 persone e spende di soli stipendi 13 milioni l’anno. «Ovviamente — dice l’assessore a Burchi — è una situazione prestigiosa perché è la più grande opera pubblica che si sta realizzando. Quindi, ci vuole qualcuno che abbia competenze giuridiche, tecniche, sensibilità politica e abbia fatto già tanti soldi…». Ma, a sentire Burchi in una telefonata successiva al suo incontro con l’assessore Improta durante il quale si è discusso del suo possibile incarico, c’è anche dell’altro. «L’assessore mi ha detto: “Lei conosce Ercole Incalza?”. E io gli dico: “Lo conosco da 30 anni perché eravamo nello stesso partito. Ma non mi gode. Incalza ha ancora un ottimo rapporto con Lunardi e io l’ho guastato”». Burchi e l’assessore capitolino non si incontreranno più. E, in quel gennaio 2014, presidente di “Roma Metropolitane” sarà nominato Paolo Omodeo Salé. Ma perché, dunque, quella domanda su Incalza? E perché bussare alla porta di Burchi?», si interrogano Fabio Tonacci e Carlo Bonini su “Repubblica”.

Contattato dallo stesso quotidiano, l’assessore Improta ha spiegato di aver incontrato Burchi due volte:

«”La prima, si presentò da me per illustrarmi un progetto della società del fratello. Mi disse che era stato presidente di Italferr e prima ancora della Metropolitana milanese, durante Tangentopoli e che in quella circostanza aveva collaborato con la magistratura di Milano. Mi lasciò un curriculum e, quando con il sindaco Marino decidemmo che era venuto il momento di azzerare i vertici di “Roma Metropolitane”, da cui arrivavano “rumori” che non ci piacevano, pensai a lui. Proprio per quell’esperienza milanese di collaborazione con la magistratura. E così lo chiamai per sondarlo. Anche perché avevamo bisogno di qualcuno disposto ad andare a Roma Metropolitane non solo accettando il tetto di stipendi fissato in 65mila euro l’anno, ma anche impermeabile alle “sirene” che un’opera di quel genere, con quella quantità di denaro che muove, produce. Dopodiché, non se ne fece nulla. Burchi non arrivò neppure al lotto ristretto di candidati tra i quali venne scelto Salé”, ha precisato Improta. “Forse perché non era in buoni rapporti con Incalza?”, si chiede ancora Repubblica.

In merito alla domanda su Incalza, però, Improta si è difeso spiegando che, a suo dire, «il senso della domanda che feci a Burchi durante il nostro colloquio aveva esattamente il significato opposto»:

«Cercavamo una figura indipendente. A maggior ragione da Incalza. Tanto è vero che quando decidemmo di procedere alla nomina del nuovo presidente di Roma Metropolitane mi limitai a comunicarlo a Incalza. E il nome della persona che avevamo scelto la apprese dai giornali. A cose fatte».

IL NOME DI INCALZA DIETRO LA STORIA DELLA METRO C –

Ma la cronaca dei fatti, sottolinea il quotidiano, spiega che Incalza non era certo una figura “neutra” nella storia della Metro C. Sia perché la gara venne affidata nel 2006 grazie a quella “Legge Obiettivo” di cui il dirigente e l’ex ministro Lunardi sono “padri”, sia perché nomi vicini a Incalza emergono nei ruoli chiave:

«La commissione di collaudo di Metro C è presieduta dall’ex ragioniere generale dello Stato Andrea Monorchio, legatissimo ad Incalza e padre di quel Giandomenico che insieme a Perotti ha le direzioni dei lavori della tratta ad Alta velocità Milano-Genova. Metro C nasce con il progetto di una “galleria unica”, ma, immediatamente dopo, cambia fisionomia, collezionando ben 45 varianti in corso d’opera. Lo strumento capace di gonfiare come una mongolfiera i costi. Ebbene, come documentano gli atti del primo troncone dell’indagine della Procura di Firenze sulla Tav (quella che ha visto recentemente rinviata a giudizio Maria Rita Lorenzetti, ex presidente Pd dell’Umbria ed ex presidente di Italferr, dove era succeduta proprio a Burchi) si scopre che, proprio nei cantieri della Metro di Roma, è stata per la prima volta “sperimentata con successo” un tipo particolare di variante. La cosiddetta “variante migliorativa», si legge.

L’attributo “migliorativa”, in realtà, è paradossale. Perché secondo “Repubblica” invece di risparmiare risorse pubbliche, la variante era utile soltanto a «evitare che il committente pubblico chiedesse conto al general contractor di progetti esecutivi sbagliati». . E nonostante questo «già pagati».

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