Se Gazebo fa il lavoro che dovremmo fare noi

Ogni domenica sera va in onda un piccolo gioiello della tv nostrana. In realtà la trasmissione esiste da ormai tre anni, ma nelle ultime settimane, forse mesi, ha cambiato un po’ pelle.

Stiamo parlando ovviamente di Gazebo, la trasmissione ideata e condotta da Diego Bianchi, con Andrea Salerno, Antonio Sofi e il “Genio” Makkox. Anche ieri sera, dopo averci già entusiasmato con le inchieste su Rosarno,  su Lampedusa e con lo scoop sugli scontri a Piazza Indipendenza tra gli operai dell’AST e la polizia, ha fornito un’altra trasmissione da incorniciare.

Ieri sera, in un orario riservato ai “gufi“, vista l’ora sempre più tarda di messa in onda, Diego Bianchi ci ha portato nel mondo dei “richiedenti asilo“, ovvero di coloro i quali, spesso tramite un viaggio in cui rischiano la propria vita, arrivano in Italia per scappare da paesi in guerra.

E lo ha fatto portandoci a Padova, terra leghista, quella del sindaco Bitonci, noto alle cronache per le sue “raffinate” sparate anti-immigrati. Diego Bianchi ci ha fatto vedere la vita di queste persone, letteralmente sospese nel limbo: in attesa che una commissione si esprima sulla loro richiesta di asilo, queste persone passano circa un anno e mezzo senza poter lavorare (i richiedenti asilo non possono farlo), accolti in strutture come quella di Don Luca Favarin. Dignitosa, pulita, accogliente. Le famose strutture che ricevono (loro e non i richiedenti asilo) i trenta euro al giorno.

Per un anno e mezzo la loro vita è in Stand by, in attesa del “verdetto” della commissione. Poi, in caso di risposta positiva, con il permesso di soggiorno in tasca, inizia la difficile ricerca di lavoro nel nostro paese.

Insomma, Gazebo ha due meriti indiscutibili. Il primo è quello di essersi saputo rinnovare, come difficilmente sono in grado di fare le trasmissioni. Partito nel 2013 raccontando la politica del Palazzo con un altro punto di vista (era il periodo elettorale, dell’exploit di Grillo e dei 101 traditori di Prodi), gli autori hanno intuito che “quel racconto”, quello della politica politicante, non ha più un seguito. E mentre i talk show continuano a crollare nello share inseguendo la demagogia dell’anticasta o sfidandosi a colpi di ospiti impresentabili, Gazebo ha girato le telecamere verso il “paese”. Raccontandoci le crisi aziendali, l’immigrazione, i richiedenti asilo.

Il secondo è quello di saper raccontare questi argomenti “difficili” in maniera “pop”, alternando alto e basso. Momenti drammatici e una sana risata. La gag in macchina di Pierfrancesco che cerca con un inglese improbabile di parlare con uno dei richiedenti asilo, e l’intervista a Edith, in fuga dalla Nigeria, dove Boko Haram ha ucciso suo marito e le sue due figlie.

Gazebo fa servizio pubblico molto più di tante trasmissioni rai, e giornalismo più di molti contenitori giornalistici, televisivi, cartacei o multimediali.  Ovviamente lo fa con il suo taglio editoriale, esattamente come facciamo noi, il Fatto Quotidiano o Servizio Pubblico di Michele Santoro. Ma è giusto che sia così, e a noi, nella nuova Rai che ha in mente Matteo Renzi, Gazebo lo vorremmo vedere in onda qualche decina di minuti prima.

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