Caso Di Matteo, il pm “congelato” a Palermo

Per la sua nomina alla direzione nazionale Antimafia non sono bastati oltre 17 anni di esperienza nella lotta alla criminalità organizzata. Né gli attentati sventati o gli “ordini” di morte lanciati contro di lui dal boss Totò Riina, intercettato nel carcere di Opera. Bocciato dalla Terza commissione del Consiglio superiore della magistratura, Nino Di Matteo resta al momento bloccato a Palermo.

 

Commissione Antimafia - Audizione dei magistrati del tribunale di Palermo

DI MATTEO “CONGELATO” A PALERMO –

Come ha spiegato il Fatto Quotidiano, doveva tenersi mercoledì il plenum decisivo dell’organo di autogoverno della magistratura, per il via libera a Eugenia Pontassuglia (che si è occupata del caso escort-Berlusconi) al pm di Napoli Marco Del Gaudio (tra gli altri, anche il processo all’ex presidente di Finmeccanica Pierfrancesco Guarguaglini) e di Salvatore Dolce, sostituto procuratore a Catanzaro (titolare di varie inchieste contro le cosche calabresi). Ma tutto è stato per ora “congelato”. Dietro le quinte consiglieri presenti in altre commissioni stanno cercando di spingere per la nomina del magistrato siciliano da tempo sotto scorta, facendolo rientrare nella lista dei “promossi” per la Dna. Se i tentativi di far cambiare idea ai commissari non avranno esito, potrebbero essere presentati alcuni emendamenti in plenum, nel tentativo di far slittare la decisione e far tornare la pratica in Commissione:

«Un emendamento elenca l’importante lavoro fatto dal pm che lo pone, anche per qualità, davanti a tutti i candidati. Ma tutto ciò finora è stato ignorato dalla Terza. Difficile prevedere cosa accadrà. A sentire, dietro rigoroso anonimato, un paio di “pro Di Matteo” hanno gradi di ottimismo diverso. Uno pensa che ci sia la possibilità che il pm ce la possa fare subito, o quanto meno nel giro di poche settimane, grazie a un quarto posto vacante (nell’attuale graduatoria c’è un altro pm di Napoli, Cesare Sirignano); l’altro pensa che il massimo risultato possibile sia spostare Di Matteo alla Dna in autunno inoltrato, quando si libererà un quinto posto perché andrà in pensione Giusto Sciacchitano. In ogni caso, si sta lavorando per una nuova valutazione dei profili professionali. Per ora Di Matteo è addirittura undicesimo nonostante le sue numerose esperienze. I consiglieri che non sono affatto d’accordo su questa classifica stanno dialogando sia con il vicepresidente del Csm Giovanni Legnini sia con i membri della Terza, specie con il presidente Massimo Forciniti di Unicost.

LE TRATTATIVE –

Non sarebbero contrari, secondo il quotidiano diretto da Marco Travaglio, i “laici” Paola Balducci (eletta in quota Sel), Renato Balduzzi (Sc) Alessio Zaccaria (vicino al M5S). Una fonte in Terza commissione rifiuta la tesi che l’esclusione di Di Matteo sia legata a pressioni “politiche”, dovute all’inchiesta condotta dal magistrato sulla trattativa Stato-mafia:

«Ragiono con la mia testa – ci dice sempre dietro anonimato il consigliere – sono convinto di quei candidati che hanno un alto profilo”. Ma Di Matteo ha più esperienza ed è sotto minaccia di morte, obiettiamo: “La valutazione professionale e il problema sicurezza sono due ambiti diversi – risponde il membro del Csm –la sicurezza va affrontata immediatamente. Di Matteo avrà un riconoscimento in seguito. Ci sono altri due posti che si liberano nel giro di mesi e altri ancora più in là perché devono essere nominati in Dna due procuratori aggiunti”. Non solo per l’esclusione di Di Matteo ma anche per altre motivazioni, uno dei consiglieri che sta cercando di far tornare sui propri passi la Terza, pensa, invece, che i candidati indicati non dovessero essere la prima scelta: “Hanno un profilo basso e meno carriera rispetto a Di Matteo e rispetto al procuratore aggiunto di Roma Capaldo, responsabile dell’antiterrorismo”. Secondo lo stesso consigliere, la Terza “ha pure ignorato le necessità espresse dal procuratore nazionale Franco Roberti che aveva chiesto di tenere in considerazione magistrati dell’antimafia di Roma e del Nord [..] “Mandare subito alla Dna Di Matteo sarebbe un segnale forte: si possono toccare anche livelli politici senza essere isolati. Non possiamo permetterci un nuovo caso Falcone-Borsellino», si legge sul Fatto.

Intanto in casa Pd c’è chi definisce il caso Di Matteo “paradossale”, come i parlamentari Michele Anzaldi, Federico Gelli ed Ernesto Magorno: «Sarebbe opportuno che il ministero della Giustizia chiedesse chiarimenti da fornire ai cittadini. [..] Da una parte abbiamo il magistrato più scortato e protetto d’Italia, proprio per le sue indagini in prima linea contro la mafia, che può vantare una esperienza con pochi pari nella lotta a Cosa Nostra, dall’altra arriva la bocciatura del Csm. Proprio oggi è emerso un nuovo piano contro Di Matteo, con cecchini che sarebbero stati collegati a Totò Riina, posizionati vicino al circolo del tennis frequentato dal giudice. Si rischia di trasmettere un messaggio sbagliato e poco comprensibile».

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