Berlusconi, ovvero la normalità in politica

Il “berlusconismo” è stato, ed è ancora, a dispetto delle apparenze, un grande tentativo di normalizzazione della politica italiana, dopo che la guerra fredda aveva condannata l’Italia per quasi mezzo secolo ad essere rappresentata politicamente dal più grosso partito comunista d’Occidente e da una Democrazia Cristiana che, pur prendendone i voti, si rifiutò sempre di ascoltare la voce della parte più conservatrice del suo elettorato.

Il primo impulso alla normalizzazione in realtà venne da sinistra con l’ascesa del socialismo craxiano negli anni in cui la crisi dei paesi marxisti si faceva sempre più manifesta. Oltre che dai comunisti, Craxi fu odiato dalla gran parte della classe politica democristiana, in quanto una sinistra maggioritariamente socialista o socialdemocratica, sulla scia degli esempi che venivano dai grandi paesi dell’Europa continentale, con Mitterand in Francia, Schmidt in Germania Ovest o Gonzales in Spagna, avrebbe costretto la balena bianca ad uscire dalla sua indeterminatezza e ridefinirsi come partito di “centrodestra”; vocabolo, quest’ultimo, lo ricordiamo agli smemorati, che al momento della discesa in campo del Cavaliere non aveva ancora cittadinanza politica in Italia.

Non potendo opporre argomenti politici ad uno sviluppo storico tanto lineare e naturale, la sinistra conservatrice mise allora in soffitta la politica, e la sostituì col moralismo giacobino, che è la negazione di ogni politica. Gli effetti devastanti di questa scelta sciagurata li vediamo ancor oggi; anzi, soprattutto oggi, dopo che un’intera generazione è cresciuta respirando a pieni polmoni i veleni di quelle suggestioni palingenetiche che non a caso furono proprie anche del fascismo.

La strada verso la normalizzazione politica a sinistra fu brutalmente stroncata al tempo di Mani Pulite. Il repulisti lasciò in piedi solo il blocco politico dei moralisti, e i suoi compiacenti comprimari. Ma non poteva uccidere completamente il bisogno di modernizzazione della politica italiana. Perciò quest’impulso verso la normalizzazione riemerse come un fiume carsico a destra. A farsene interprete fu Berlusconi.

Berlusconi volle porre le basi per la costruzione di un grosso partito di centrodestra, agendo in due direzioni contrapposte: verso il centro, allo scopo di liberarlo dallo stato di dipendenza culturale nei confronti della sinistra; e verso la nuova destra leghista ed ex-missina, allo scopo di sottrarla a un giustizialismo infecondo e riportarla alla politica. Si trattava, storicamente parlando, di un processo di “europeizzazione” della destra italiana nel senso più largo del termine; processo che in caso di successo avrebbe costretto, questa volta, i post-comunisti a fare i conti con la storia e ridefinirsi come partito “socialdemocratico”. E proprio perché si trattava, anche questa volta, di uno sviluppo storico perfettamente lineare e naturale, che si volle propagandarlo come “l’anomalia Berlusconi”, venendo facile spostare l’attenzione sul suo stato di magnate dei media.

Oggi la politica italiana è dominata da formazioni politiche anomale o portatrici di patologie: a sinistra un blocco montagnardo di vaffanculisti; in mezzo un grosso partito con aspirazioni egemoniche che si chiama “democratico”, che però ha dentro di sé gente che guarda con simpatia a Tsipras che non è nemmeno socialdemocratico, e che in Europa fa parte del gruppo socialista; più in là un partitino “neo-centrodestrista” che in Europa fa parte del gruppo popolare, mentre in Italia fa da stampella ad un partito che in Europa fa parte del gruppo socialista; e infine, al di là della creatura politica berlusconiana, una destra leghista-nazionale che si sta saldando nel nome del più becero identitarismo. Questi sono i risultati dell’attuale indebolimento di Berlusconi e della lunga guerra fatta al Cavaliere: cioè alla normalità e alla ragionevolezza.

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