Se questo è un Movimento 5 Stelle

“Come stai?”, ho chiesto ieri sera ad un mio amico 5 stelle. “Sono triste” mi ha risposto. Io e lui ci scorniamo spesso su cosa va o non va nel magico mondo dei “grillini”. Lui è un attivista (storico), io una giornalista che non vota M5S. Abbiamo visioni decisamente differenti ma ieri, entrambi, abbiamo visto quello che è successo davanti a Largo Nazareno, dove un oramai ex 5 stelle, Walter Rizzetto, è stato fortemente contestato da alcuni militanti.

“Venduto”, “Dove hai l’anima”. Rizzetto è stato trattato come un Craxi qualunque, solo senza monetine.

E dopo un anno siamo ancora qui. Consultazioni, totoquirinale, tentativi di intesa. E io mi chiedo se un 5 stelle si chieda se ne sia valsa la pena. Dico, stare in Parlamento. Entrare e provare a usare quel famoso apriscatole.

Per lavoro mi sono infilata in diverse assemblee M5S. Ho seguito hangout e mastodontiche sessioni Youtube dove tra gli attivisti volavano stracci, quelli veri. Ho ricevuto chiamate e segnalazioni sulle “ombre” di quell’eletto, di quell’amico dell’eletto, di quella zuffa interna. Veleno, come c’è in tutti i partiti.

Se il Movimento 5 Stelle ha cambiato l’approccio dei cittadini alla politica, ed è vero, i 5 stelle sono cambiati davanti alla politica?

Chi l’altra sera era presente davanti alla sede del Pd sapeva esattamente cosa stava facendo? Aveva letto le motivazioni dell’abbandono di Mara Mucci? E ancora, mi chiedo, le persone che erano lì fuori, cartelloni in mano, avevano affrontato serate al gelo tra i banchetti, levato 50 euro dallo stipendio per quella trasferta, passato pomeriggi davanti a carte comunali per spiegare (senza farsi fregare) che quella roba lì nel suo quartiere non andava bene?

Sono usciti 36 parlamentari dentro il Movimento 5 stelle. Ognuno con le motivazioni più differenti. Qualcuno sulle ultime uscite potrebbe pensar male. Lecito. La tempistica è ambigua. Ma le motivazioni no. Quel comunicato 45 sulla libertà di vincolo di mandato, quell’emendamento sull’immigrazione clandestina che non andava bene, quel Semplice portavoce diventato oramai Capo del Movimento: che poi, alla fine, Grillo, sì, è sempre stato il Capo.

Ha ragione il deputato Di Battista: esser 5 stelle non è facile. Non è facile incassare cacciate di colleghi senza assemblea, ingoiare decisioni scordandosi di quell’”uno vale uno”. Non è facile stare ore a litigare virtualmente e perdere gli eletti del proprio territorio senza nemmeno averlo deciso.
Così mi chiedo se sia valsa la pena prendere la prima forza d’opposizione di questa legislatura e buttare oltre otto milioni di voti nel gabinetto. Così, perché i click sul blog andavano bene. E mi chiedo che godimento vi sia a trovare vuota la sedia accanto a te in consiglio comunale e pensare dentro di te che alla fine il compagno “se l’è un po’ cercata”. Non è facile esser duri e puri. Vero. Così come non è neanche facile esser degli yes men. E gli yes men, si sa, sono roba da partito.

Una volta una persona, che mi ha insegnato tanto sul Movimento, mi trascinò in un negozio di elettrodomestici. Tra una lavatrice e un impianto stereo mi chiese da dove venisse il nome Movimento 5 Stelle. Non ne avevo la minima idea. Perché 5 Stelle e non una, due? Qualche attivista mi spiegherà che cinque deriva dai pilastri del Movimento: acqua pubblica, mobilità, sviluppo, ambiente, connettività.

In realtà 5 stelle è sinonimo di lusso. Il Movimento ti offre le chiavi per trasformare la politica in quell’hotel elegante che ti hanno sempre negato.

Ecco, ho paura che nell’avventura qualcuno abbia deciso di fare il receptionist, il direttore di sala, l’usciere. Ho paura che qualcuno abbia le chiavi di quell’albergo e le abbia lanciate lontano, laddove quei cittadini, illusi di poterle detenere, non le troveranno mai.

(in copertina Foto Guglielmo Mangiapane/LaPresse)

 

 

 

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