Se uccidere una romena è meno grave che uccidere un italiano

È vero. Alessio non ha neanche trent’anni. È vero, la pena carceraria in Italia deve tendere alla riabilitazione, al reinserimento del reo nella società; è giustissimo. Ed è anche vero – perché lo dicono i magistrati – che in questi anni, spesi tra il carcere di Rebibbia e gli arresti domiciliari, Alessio ha mostrato impegno e «voglia di lavorare». Ma bastano 4 anni per regolare i conti con la nostra società, davanti ad un omicidio?

Ma non possiamo chiuderla qui. La scarcerazione di Alessio Burtone, dopo l’omicidio compiuto nel 2010 nei confronti di una signora romena, Maricica, non può non farci riflettere. Alessio uccise Maricica, madre di una bambina e moglie di Adrian, con un pugno sferrato in pieno volto al termine di una lite iniziata in una tabaccheria. Ad incastrare Alessio fu un video, che fece il giro del web. Quel pugno secco, quella violenza, il corpo di Maricica che cade in terra già inerme. Quando Alessio fu arrestato, sotto la sua abitazione amici di famiglia e abitanti del quartiere inveirono contro la polizia che lo portava in carcere. Alemanno fu soprannominato «il sindaco di Bucarest». Qualcuno riteneva intollerabile che un ragazzo romano potesse pagare con il carcere per la morte di una romena.

E – purtroppo – rimane la sensazione, sgradevole, che questa decisione della magistratura in qualche modo avalli questa visione. Non sarà facile spiegare a tanti cittadini romeni che vivono in Italia perché avere ucciso una madre di famiglia sia una cosa che permette di tornarsene in libertà, seppure con qualche limitazione, dopo 4 anni. Già era difficile spiegare come fosse possibile una sentenza che prevedeva solo otto anni di carcere per un’omicidio, seppur preterintenzionale. Più o meno la stessa condanna ricevuta da Silvio Berlusconi per la vicenda – sette anni in primo grado – per la vicenda Ruby.

Ci proclamiamo, qui a Giornalettismo, garantisti e di essere contrari alle tanto reclamate “pene esemplari”. Eppure, ci sembra evidente, in questo caso c’è qualcosa che non va. C’è qualcosa di stonato. C’è qualcosa che non torna. Una vita non può valere così poco. Non si possono chiudere i conti con un gesto che è costato la vita ad una donna, in soli quattro anni.

Ricordiamoci di Maricica quando vedremo affacciarsi dai nostri televisori alcuni politici nostrani intenti ad urlare contro un reato commesso da un immigrato, che sia romeno, etiope o cinese. Ricordiamoci di Maricica quando vedremo il prossimo servizio con la gente che urla «a loro guai a chi li tocca, che finisci in galera». Ricordiamoci di Maricica quando nel prossimo talk show l’inviato di turno si collegherà dalla piazza infuriata «contro gli immigrati», ricordiamoci di questa famiglia devastata quando sentiremo parlare ancora di ronde.

Ecco, ricordiamoci di Maricica, di questa decisione dei giudici italiani. E pensiamo un attimo – se ci riesce – prima di inveire davanti ad una telecamera o prima di digitare su una tastiera.

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