Mafia Capitale e la Camorra truffavano anche sugli abiti «per i poveri»

Mafia Capitale era anche nel business degli abiti per i poveri. Un business eticamente molto discutibile anche quando corretto, è finito nelle mani della mafia e della camorra in mezza Italia. Lo denunciano le numerose ordinanze di custodia cautelare firmate dal gip del tribunale di Roma quest’oggi.

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MAFIA CAPITALE E CAMORRA – C’è la camorra a capo di questa vicenda, almeno secondo gli inquirenti, il boss della camorra Pietro Cozzolino, tra i leader del clan di Portici-Ercolano (Napoli) e il fratello Aniello. Ma c’è anche Mafia Capitale, perché uno dei promotori sarebbe Danilo Sorgente, titolare della cooperativa New Orizon, una delle due cooperative che a Roma hanno gestito in regime di duopolio il settore del recupero degli abiti usati. Scrive il magistrato nell’ordinanza che si tratta di «Un sistema collaudato di “rete” mediante il quale le imprese riescono ad acquisire affidamenti diretti per il servizio di raccolta della frazione tessile differenziata presso i Comuni di Lazio, Campania e Abruzzo, attraverso compiacenze politiche e collaudati meccanismi procedurali di facilitazione degli affidi»

MAFIA CAPITALE E POLITICI – Complicità politiche, mafiosi e cooperative che si muovono di concerto per predare concessioni pubbliche e lucrare vantaggi dal sistema, complicità che che in gran parte sono  ancora tutte da scoprire e indagare, tra sindaci, assessori, consiglieri comunali, che avrebbero intrattenuto, non solo a Roma e dintorni, rapporti con gli indagati e con le cooperative sotto indagine, che avevano rapporti con Legacoop e con la Caritas per quanto riguarda il recupero degli indumenti usati.

MAFIA CAPITALE, CHI CI GUADAGNA E COME – Ma non bastava il monopolio su questo traffico apparentemente minore, ma misurabile in milioni di euro e dodicimila tonnellate di peso all’anno, per lucrare ulteriormente si procedeva spesso il finto recupero della merce raccolta e alla sistematica falsificazione dei documenti di trasporto e dei certificati di «igienizzazione»: la legge prevede che gli abiti raccolti prima di poterli reinserire nel mercato vadano disinfettati e ripuliti, un passaggio che l’organizzazione saltava a piè pari. Il business nel riciclo degli abiti usati, che in parte ritornano sul mercato nel nostro stesso paese e in parte sono esportati a prezzi bassissimi verso i paesi in via di sviluppo, dove spesso uccidono l’industria tessile locale si presta già naturalmente a diverse critiche, visto che alimenta un mercato opaco con una parvenza di commercio etico perché alcune associazioni benefiche ottengono delle provvigioni sui vestiti raccolti da aziende appaltanti.

MAFIA CAPITALE E L’AMA – Le inchieste coinvolgono per ora indirettamente la società partecipata dal Comune di Roma Ama Spa, in quanto ente che affida il servizio. Il giudice per le indagini preliminari chiama direttamente in causa  il braccio destro del boss Massimo Carminati sull’azienda : «Tutti trovano la premessa del loro agire nella disfunzionale gestione di Ama SpA, nel fattuale potere gestorio in essa esercitato dal referente di tutte le cooperative sociali, Salvatore Buzzi, il cui assenso è stato la premessa della ripartizione del territorio comunale per la raccolta del tessile».

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MAFIA CAPITALE, ANCORA BUZZI E CARMINATI – L’accusa dice quindi che serviva il permesso del ras delle cooperative romane, Buzzi, perché la camorra e gli imprenditori indagati potessero mettere le mani sugli abiti usati. A Buzzi:  «si deve, tuttavia, l’operatività del sistema», è lui «il raccordo terminale delle consorterie che si dividono l’affare dei rifiuti tessili a Roma», e lo farebbe tramite un imprenditore, Mario Monge. Sono loro due che tengono i contatti e mediano tra mafiosi e politici, secondo le ipotesi dell’accusa: «Chi vuole vincere non paga più – come un tempo – solo alla Pubblica Amministrazione, in un contesto che è solo corruttivo, ma paga al titolare di poteri di fatto all’interno della Pubblica Amministrazione, poteri che sono correlati al dominio della strada, e che si proiettano nel mondo istituzionale, condizionandolo anche con la corruzione, poteri che sono, in una parola, di stampo mafioso», Buzzi e Carminati nel caso in oggetto.

UN SISTEMA MAFIOSO – Una mediazione esercitata grazie al controllo sulle istituzioni assicurato da una rete di complici piazzati per tempo: «Ama S.p.a. società posseduta dal comune di Roma, all’interno della quale – sotto l’occhiuta regia di Carminati  – si è svolta la collocazione in posizione apicale di soggetti che rispondono a un’organizzazione che non può che dirsi mafiosa, per i mezzi che utilizza, per i soggetti che la praticano e per la finalità che la animano».

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