Aldo, Giovanni e Giacomo: Il ricco, il povero e il maggiordomo fa ridere. Ed è già qualcosa

Da anni il trio che aveva fatto ridere la generazione di Mai dire gol, tra sardi, bulgari e arbitri reclusi ben prima di Paparesta, quei tre comici irresistibili che sembravano attingere a una vena inesauribile, a una verve comica surreale e non di rado geniale, aveva preso la strada di una crisi che appariva irreversibile. Gli ultimi dieci anni, da Tu la conosci Claudia?, ci hanno restituito il declino apparentemente definitivo di Aldo, Giovanni e Giacomo che alle risate a crepapelle avevano lasciato il posto a un mood malinconico, spesso sciatto e incredibilmente fuori tempo, soprattutto per chi ha avuto per anni intuizioni folgoranti e ritmi straordinari.

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IL RICCO, IL POVERO E IL MAGGIORDOMO, LA RINASCITA?-Ecco, la buona notizia è che ne Il ricco, il povero e il maggiordomo troverete sì una sceneggiatura caotica e discontinua come quelle del recente passato – e comunque non così mediocre come lo script de Il cosmo sul comò o pretestuosa e arrancante come il copione de La banda dei Babbi Natale – ma riderete. Non sempre come in passato, ma in varie occasioni, soprattutto quando i tre si lasciano andare a quella vena di follia che avevano sotterrato in passato. Quando la scena diventa gag fantasiosa, fisica, mimica, per un attimo ti ritrovi ai loro inizi, quando l’esplosione dell’allegria, a guardarli, ti nasceva da dentro, quando prima ridevi e poi, forse, capivi la battuta. C’è anche l’autocitazione, ovviamente – vedi il figlio del finto miliardario azero, con molti nomi tra cui Ajeje Brazov – e l’appoggio, persino furbo, ad automatismi rodati tra loro e con il pubblico. E si ruba altrove, dichiarandolo, come nel caso di Django.

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Siamo lontani dal meglio di Aldo, Giovanni e Giacomo, ma con Il ricco, il povero e il maggiordomo hai di nuovo l’impressione che vogliano raccontarti qualcosa, vogliano parlarti, al cuore e la pancia. Quei tre uomini solitari e a loro modo egoisti, quel loro essere fuori posto ovunque e a loro agio, in fondo, solo quando sono insieme, si fanno voler bene e non è detto che non sia persino autobiografico. Il ricco decaduto, il maggiordomo che vuole uscire dalla sua ombra, il bamboccione fuori tempo massimo, si ritrovano insieme per interesse e poi faranno gruppo, quasi come in un film di Loach.

ALDO, GIOVANNI E GIACOMO ANCHE REGISTI – Non è un caso che, come nelle loro opere migliori, si mettano in gioco anche dietro la macchina da presa, con l'”affiancamento”, in questo caso, di Morgan Bertacca. In passato, affidandosi a un altro regista forse avevano trovato solo in Paolo Genovese una buona sponda, tanto che nel loro momento di forma peggiore avevano portato a casa un prodotto comunque abbastanza dignitoso.
Si vede, invece, che qui è tornato il desiderio di spiazzare lo spettatore, come accade, ad esempio, con il personaggio di un prete sui generis, ben impersonato da Massimo Popolizio, o nel monologo sulla sconfitta di Aldo, poetico e ben scritto e recitato. Intendiamoci, questo è ancora un timido risveglio, ma sembra essersi invertita una tendenza da allarme rosso: Aldo Baglio si scatena in quell’espressività che aveva represso e depresso, Giacomo Poretti veste bene i panni del bastardo dal cuore placcato d’oro, sfruttando un rigore maggiore nella recitazione, Giovanni Storti cuce il resto, poliedrico nel seguire le follie del primo e allo stesso tempo duettando con l’altro, più diligente.

Buona la colonna sonora di Marco Sabiu e le canzoni scelte per puntellare la storia, persino un Emis Killa con “Chi abbia vinto o no”, che non penseresti mai adatto a un loro lungometraggio, o un Tonino Carotone perfetto con il suo “Me cago en el amor”. E godetevi Julio Iglesias, che con “Se mi lasci non vale” strappa una gran risata.

AG&G, VALE TUTTO. E VA BENE COSI’– E questa scelta musicale rappresenta bene una libertà creativa persino eccessiva, la stessa che fa accompagnare Guadalupe Lancho, nel film venezuelana molto sexy, da mariachi messicani e poi la fa trattare da spagnola in un’altra scena. Ma è una commedia e se fai ridere, vale più o meno tutto. Soprattutto se smuovi il pubblico con una Francesca Neri sensuale e divertente e una Giuliana Lojodice carismatica e in gran forma.

Sperando che sia l’inizio di una nuova giovinezza, perdoniamo a Il ricco, il povero e il maggiordomo quei troppi finali buonisti e qualche sbavatura in scrittura e in montaggio, oltre a una qualità visiva non eccelsa. Abbiamo riso, non quanto avremmo voluto ma più di quanto successo negli ultimi dieci anni con AG&G.
Ed è come riaccogliere un parente con cui si era litigato ma per cui non avevi smesso di provare affetto.
Sei disposto ad aspettare che tutto torni come prima.

(Photocredit: Masiar Pasquali)

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