Roma, la rete di Massimo Carminati che strangolava la città

Roma, la Mafia Capitale, la criminalità organizzata guidata da Massimo Carminati, ex banda della Magliana ed ex Nuclei Armati Rivoluzionari, “non ha un territorio definito, non ha un controllo militare della Capitale”, ma si occupa principalmente di “fare rete”, di creare “un ponte fra due mondi”. E’ la teoria del mondo di mezzo, dice Carminati nell’intercettazione che da il nome all’indagine: il mondo di sotto, quello della criminalità organizzata, e quello di sopra, della società pulita, della politica e dell’imprenditoria. La Mafia Capitale si mette al servizio del mondo di sopra utilizzando il mondo di sotto, e soprattutto, fa tutto questo per il suo primo e principale interesse.

GLI INDAGATI – Ci sono 37 indagati in custodia cautelare in carcere e altri 40 a piede libero, per reati quali Associazione per Delinquere di Stampo Mafioso e altri reati collegati (principalmente corruzione). A Roma, dice il procuratore capo della Capitale Giuseppe Pignatone in conferenza stampa presso il comando provinciale dei Carabinieri di Roma, “non c’è un’unica organizzazione che controlla la città. Le inchieste finora hanno dimostrato la presenza di due famiglie criminali ad Ostia, una collegata con la mafia calabrese, l’altra originale, autoctona, della capitale. Ma Mafia Capitale è una nuova associazione, un’organizzazione originale e romana che si rapporta paritariamente con le altre organizzazioni mafiose del sud Italia”: insomma, a Roma c’è la mafia? Sì, c’è, è una mafia diversa, originale, autoctona, che si fonda sulla rete dei rapporti e delle relazioni che sorgono dalla criminalità politicizzata degli anni ’70, le frange nere della banda della Magliana, e che fa capo al “cecato”, quel Massimo Carminati arrestato questa mattina a Sacrofano nell’ambito dell’operazione, appunto, “Mondo di Mezzo”.

IL MODELLO – “Quando pensiamo alla mafia il modello che abbiamo in mente è quello di Cosa Nostra: centinaia di associati, controllo del territorio, presenza militare, prevalenza del settore illecito su quello lecito. A Roma non è così”, dice Pignatone. Quel che conta è il metodo mafioso, la potenza del metodo intimidatorio: “Bastava dire che stavo con il Cecato ed ero intoccabile”, dice alle forze dell’ordine uno degli imprenditori che ha accettato di mettersi sotto protezione. “Tutto viveva e vive sul presupposto generalizzato e accettato che Carminati e i suoi possano in ogni momento riattivare la propria rete di intimidazioni e di violenze”, dice il procuratore capo di Roma: “Quando scatta questa consapevolezza, tutto si ferma”.

COME FUNZIONAVA LA MAFIA A ROMA – L’organizzazione mafiosa vive dei suoi legami con la società e con la politica. Il braccio del rapporto politico di Carminati con il Campidoglio è l’imprenditore Salvatore Buzzi, “il quale, tramite una rete di cooperative sociali, gestiva gli interessi economici dell’associazione criminale in diversi settori” destinatari chiaramente di appalti e finanziamenti provenienti dal Comune. Buzzi, pregiudicato per omicidio e con un passato da militante nell’estrema sinistra – “ma gli affari sono affari”, diceva Buzzi ad un suo amico che gli chiedeva perché lui collaborasse con Carminati – riceveva ordini da Carminati in persona: “Tu devi andare in Campidoglio e dire, che ti serve? Ti serve il movimento terra? Ti serve che ti metto i manifesti? Lo faccio io, che se te lo fa un altro può diventare una cosa sgradevole”. Violenza, intimidazione ma, se possibile, principalmente corruzione era l’arma prediletta dall’organizzazione di Carminati: “Meno evidente, meno invasiva, più efficace”, spiega la procura.

GIANNI ALEMANNO – Secondo la procura ed il Giudice, in particolare, “alcuni uomini fra i più vicini a Gianni Alemanno, ex sindaco, sono componenti a pieno titolo delle associazioni criminali”: risultano indagati lo stesso esponente di Fratelli d’Italia e il suo ex caposegreteria Antonio Lucarelli. Sul punto la procura si rifiuta “categoricamente” di approfondire la situazione indiziaria degli indagati: bisognerà aspettare per capire la vera cifra del coinvolgimento dell’ex sindaco di centrodestra. Poi però la giunta cambia, arriva Ignazio Marino ed alcuni dirigenti posti in luoghi chiave, apicali, vengono rimossi: e allora, cosa fare? “Noi dobbiamo vendere il prodotto”, dice Carminati a Buzzi: “Perciò mettiti la minigonna e vai battere. Dobbiamo venderci come le prostitute”. L’importante era mantenere la rete di relazioni e rapporti, il resto non contava.

I BANDI – Chiaramente i bandi che Carminati aveva adocchiato non erano solo quelli del Comune, ma anche quelli delle municipalizzate: gli avvisi di garanzia hanno raggiunto anche Mirko Coratti, presidente Pd dell’assemblea Capitolina, indagato “all’aggiudicazione del bando di gara Ama riguardante la raccolta del multimateriale” e anche Eugenio Patané, Pd, e Luca Gramazio, PdL, alla regione Lazio, secondo la Procura, avevano avuto “rapporti” con gli esponenti dell’organizzazione; scrive la procura che il Buzzi aveva “provati rapporti” con Coratti, mentre il principale amministratore di riferimento durante l’era Alemanno risultava essere “Franco Panzironi, ad di Ama”, anch’esso sotto indagine e descritto dalla procura come un uomo che veniva “regolarmente pagato” in tangenti da Carminati per assicurargli l’aggiudicazione degli appalti nel mirino dell’organizzazione. Il metodo della Mafia Capitale, spiega la procura, risultava essere quello di inserire “manager di sicura fedeltà” nei luoghi apicali delle municipalizzate romane e di pilotare anche le nomine delle commissioni Trasparenza del Comune di Roma.

LA RETE – Il Buzzi, come abbiamo detto, era attivo con una rete di cooperative “nel mondo del cosiddetto sociale”, dice la procura: in particolare con la rete di cooperative Eriches 29, nate durante il soggiorno in carcere come occasione di impiego per detenuti: l’obiettivo era di lucrare sul business dei centri di accoglienza e sul dramma dell’immigrazione, ottenendo il trasferimento dei rifugiati presso le strutture controllate, con conseguente dazione di denaro pubblico. Carminati e Buzzi avevano un loro uomo a libro paga, Luca Odevaine, in carcere anche lui, presso il Tavolo Nazionale di smistamento di immigrati e rifugiati, con il preciso compito di dirottare presso le cooperative del Buzzi gli immigrati da tutelare.

IL RAPPORTO – Dunque il rapporto con la politica e l’amministrazione era centrale, ma lo era anche l’inserimento nella società, nel tessuto produttivo, il rapporto con gli imprenditori. A chi chiedeva protezione contro la criminalità comune, Carminati non chiedeva nulla: “Mi puoi dare anche un milione di euro, non mi interessa”, diceva Carminati al telefono con i suoi collaboratori – le intercettazioni sono state lo strumento chiave dell’indagine; gli imprenditori “devono entrare nella rete, dobbiamo essere loro amici, devono loro essere amici nostri, devono lavorare per noi”. Certo, se un imprenditore si opponeva, erano dolori: la procura racconta la storia di un cittadino che rifiuta di vendere un terreno di sua proprietà. Carminati sguinzaglia il suo responsabile militare Riccardo Bruggia, che si interessa di minacciare l’interessato: “Qui tanto non ci puoi fare niente”, gli dice, “appena apri ti armiamo un casino. Ci devi dire se è sì o no, e se è no, tu hai un nemico”. Seguono ulteriori vessazioni: “Ormai sono sotto scacco”, dice l’imprenditore ad un amico: “Quando li vedo io soffro, zagaglio. Non riesco a dire due parole”. L’inchiesta, dice Pignatone, non è finita. La prima tappa è stata quella degli arresti, degli avvisi di garanzia e del sequestro di beni per 200 milioni di euro provenienti da “10 obiettivi” messi sotto attenzione dal nucleo tributario della Guardia di Finanza. Usura ed estorsione, in un primo momento, sono state le armi tradizionali della Mafia Capitale, ma a un certo punto il Cecato sceglie di salire di livello: “Non c’è più tempo per il recupero crediti”, diceva Carminati ai suoi affiliati: “Noi siamo un’altra cosa”.

(Photocredit: screenshot Report)

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