Delitto di Garlasco: «Alberto ha ucciso Chiara. Contro di lui 11 indizi gravi»

«Ci sono 11 indizi gravi, precisi e concordanti» che portano ad una sola conclusione: Chiara Poggi è stata uccisa da Alberto Stasi. Così l’avvocato della famiglia PoggiFrancesco Compagna, nel suo intervento in occasione del processo d’appello bis sul delitto di Garlasco a carico di Alberto Stasi, accusato di aver ucciso la sua ex fidanzata il 13 agosto 2007. I legali della vittima hanno anticipato che chiederanno un risarcimento all’imputato di 10 milioni di euro.

Garlasco: «Alberto ha ucciso Chiara. Contro di lui 11 indizi gravi»
Spada / Lapresse

GLI INDIZI CHE INCHIODANO STASI – Francesco Compagna nel corso del dibattimento insieme al collega Gian Luigi Tizzoni ha ha messo in evidenza, considerandoli nel loro insieme, tutti gli indizi che depongono contro il giovane commercialista imputato per omicidio. Tali indizi, aggiunge l’Ansa, sono emersi anche con le nuove perizie disposte dalla corte d’Assise d’Appello con la rinnovazione del dibattimento. In particolare, con la ripetizione dell’esame della cosiddetta camminata, che ha stabilito come fosse impossibile che Alberto dopo aver scoperto il cadavere della fidanzata lungo le scale della villetta di via Pascoli a Garlasco non si fosse sporcato le suole delle scarpe, dimostra che «ha raccontato agli inquirenti quel che sapeva per essere stato l’artefice dell’omicidio».

 

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IL RUOLO DELL’IMPRONTA DELLE SCARPE E DEI GRAFFI – Secondo il legale ci sono «una serie di elementi che hanno portato ad accertare con ragionevole certezza che Stasi quella mattina non entrò nella villa dei Poggi». Tra gli elementi messi in luce dalla parte civile, e che hanno costituito una novità nel nuovo processo di secondo grado, ci sono anche quelli relativi al numero di piede, il 42, «correttamente individuato» con tanto di marca di scarpe, le Frau, e «i due graffi sul braccio dell’ex studente della Bocconi», che sono stati notati da due carabinieri della stazione di Garlasco nell’immediatezza dell’assassinio, quando Stasi diede l’allarme. (Photocredit copertina Spada / Lapresse)

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