Consulta, intesa a metà. Eletta Sciarra, non passa Bariatti

Stallo sbloccato, ma soltanto a metà. L’attesa “fumata bianca” per la Consulta è arrivata solo per Silvana Sciarra. Se la docente indicata dal Partito democratico (votata anche dal Movimento 5 Stelle) è stata eletta giudice costituzionale con 630 voti, l’esito del ventunesimo scrutinio non è stato altrettanto benevolo per la candidata di Forza Italia, Stefania Bariatti. Un flop dovuto non soltanto ai veti incrociati tra il partito azzurro e i pentastellati. Ma soprattutto al riemergere dei frondisti dentro la creatura politica del Cav, sempre più balcanizzata e fuori controllo.

Per la professoressa di Diritto internazionale privato e processuale, tradita nel segreto dell’urna, soltanto 493 voti. E decisive sono state (in negativo) ben 45 assenze tra le fila azzurre: 15 senatori (due in missione) e ben 30 deputati (quattro in missione). Servirà quindi un nuovo scrutinio, il ventiduesimo, per eleggere l’ultimo candidato per la Corte costituzionale.

Allo stesso tempo, l’intesa tra Pd e Movimento 5 Stelle ha permesso anche l’elezione di Alessio Zaccaria al Consiglio superiore della magistratura, promosso a Palazzo dei Marescialli nonostante Fi avesse optato per la “scheda bianca”. Sostituirà Teresa Bene, promossa in quota Pd e poi dichiarata ineleggibile dall’organo di autogoverno della magistratura.

 

 

Consulta 3

 

CONSULTA, ELETTA SCIARRA, BOCCIATA BARIATTI – Archiviata la candidatura di Luciano Violante, dopo settimane di stallo Pd e Forza Italia erano riuscite a individuare un nuovo tandem tecnico da proporre per la Corte Costituzionale. Tutto al femminile. Eppure, tra i corridoi in Transatlantico sembrava chiaro come l’esito del voto sarebbe rimasto fino all’ultimo un’incognita. E come la strada verso la promozione alla Consulta fosse più complicata per Stefania Bariatti.

A preoccupare era già stato il numero dei votanti, soltanto 748, un centinaio in meno rispetto all’ultima votazione.  Al contrario, sul nome della Sciarra, lasciavano ben sperare le prove d’intesa tra Pd e Movimento 5 Stelle. Già indicata come un “nome di alto profilo” dalla gran parte dei parlamentari pentastellati, la professoressa di Diritto del lavoro e Diritto sociale europeo all’Università di Firenze aveva potuto incassare l’appoggio ufficiale degli eletti a 5 Stelle, dopo il via libera dei militanti nel corso del referendum on line sul blog di Grillo. Agli iscritti certificati spettava infatti l’ultima parola sul comportamento in aula degli eletti M5S. E alla fine, l‘88% dei votanti si erano schierati a favore della docente (su 17.746 votanti, 15.644 avevano dato il via libera). 

 

La votazione in corso ora sul blog
La votazione in corso ora sul blog

 

Eppure, non tutto il fronte pentastellato aveva condiviso la scelta di puntare sulla docente. A spingere per il “no” era stato già Paolo Becchi, un tempo considerato l’ “ideologo” del Movimento 5 stelle (ma più volte scomunicato da Grillo), che aveva invitato a non votare la docente per «evitare la deriva partitocratica». «Voterò no convinto nel merito e nel metodo. Siamo contro l’ euro e mandiamo una eurista alla Consulta? Me ne batto u belin dell”indipendenza politica’ della Consulta che non esiste!», aveva attaccato. Non era stato l’unico. Anche il deputato Andrea Colletti si era schierato per il no: «Il motivo principale non risiede nel curriculum della stessa, visto che la conosco poco o niente. Bensì sul fatto che, votando per il solo candidato del PD, permettiamo a questa gente di applicare la teoria dei due forni». Così come critico era stato il deputato Luigi Gallo:

 

«Sciarra afferma che le regole del mercato si devono equilibrare con lo statuto “costituzionale” dei servizi (io li chiamerei diritti) sociali e collabora da anni con la Commissione Europea. Non vorrei trovarmi qualcuno che avvalla l’iscrizione delle regole del mercato in Costituzione, come è già avvenuto per la Costituzione Europea. Io voterò NO, ma mi farò portavoce del risultato della Rete», aveva spiegato.

 

Posizioni che si sono però rivelate minoritarie nel corso della votazione. Il M5S ha confermato il sostegno a Sciarra e Zaccaria, decisivo per la loro elezione. Tanto che lo stesso Grillo si è subito affrettato a rivendicare il risultato ottenuto: 

 

 

Posizione condivisa anche dai capigruppo alla Camera e al Senato, Andrea Cecconi e Alberto Airola: «Noi non diciamo dei “no” a prescindere e quando le proposte sono accettabili, noi le votiamo. Il risultato ottenuto nelle urne di Montecitorio dimostra anche come i partiti si sono dovuti arrendere di fronte alla trasparenza imposta dal M5S». 

Al di là delle rivendicazioni, però, il dato politico che emerge è come sulla partita delle nomine di Consulta e Csm si sia registrata una nuova intesa tra Pd e pentastellati, già convergenti ieri su una serie di misure sulla responsabilità civile dei magistrati (un asse che aveva scatenato le proteste del principale alleato di governo dei democratici, il Nuovo centrodestra, ndr). Ma non solo: per la prima volta i voti pentastellati sono stati “scongelati” per l’elezione di membri di organi costituzionali. In Transatlantico c’è già chi guarda oltre, ipotizzando un nuovo remake dell’asse 5 stelle-dem anche in ottica legge elettorale. Di certo, dopo il voto sulle nomine dei giudici, Renzi ha un’arma in più per mettere ulteriore pressione al Cav. In sintesi, a Forza Italia non sarà concesso troppo tempo per decidersi sulle modifiche all’Italicum. Altrimenti si comincerà a guardare altrove. Non soltanto verso lo scenario di una legge approvata a colpi di maggioranza. Ma soprattutto in direzione M5S, con il quale Renzi può trovare alcuni punti di convergenza, come su premio alla lista e preferenze.  Certo, il patto del Nazareno tra Renzi e Berlusconi non verrà archiviato per lo strappo della Consulta. Ma è un segnale ulteriore che il premier vuole inviare al Cav. E il messaggio è chiaro: non c’è tempo da perdere.

Allo stesso modo, il M5S è consapevole del fatto che dietro una possibile apertura renziana sulla legge elettorale potrebbe nascondersi soltanto la volontà di mettere pressione al leader di Fi. Ma i pentastellati restano in attesa. E nel frattempo possono esultare per la partita delle nomine. Rivendicando anche di aver stoppato Bariatti: «Se ne avessimo avuto il tempo, avremmo valutato questo nome come abbiamo fatto con tutti gli altri, al contrario di quanto il Pd e Fi hanno fatto con i nostri candidati, condivisi ufficialmente e pubblicamente fin dall’11 giugno», aveva commentato il deputato pentastellato Danilo Toninelli. Non senza attaccare il Pd: «Sembra che la voterà a scatola chiusa, come avrebbe votato chiunque altro, in cambio del voto di Forza Italia per il suo candidato. A noi invece interessa solo il bene dei cittadini, non siamo interessati alla spartizione e agli scambi di poltrone».

CONSULTA, BARIATTI PAGA LA BALCANIZZAZIONE DENTRO FORZA ITALIA –  Se il M5S può esultare, il voto sulla Consulta riapre invece la diatriba interna in casa Forza Italia. Era chiaro fin dal mattino come a rischiare il flop fosse la stessa candidata azzurra, Stefania Bariatti. Con la docente di Diritto internazionale privato e processuale costretta a superare lo scoglio delle resistenze interne in casa azzurra. Alla fine, il destino della docente è stato lo stesso dei suoi predecessori. Impallinata e tradita da assenze e “franchi tiratori”, già determinanti nelle passate bocciature, in ordine, di Antonio Catricalà, Donato Bruno (insieme alle grane giudiziarie) e di Francesco Ignazio Caramazza. Senza contare la carta di Maria Alessandra Sandulli, saltata ancor prima di andare in aula.

Si sono rivelate profetiche le stesse divisioni interne sul nome della Bariatti: Forza Italia aveva scelto la professoressa da una terna di nomi che comprendeva anche Maria Pia Baccari e la processual penalista Marzia Ferraioli. Su quest’ultima candidatura  aveva tentato di insistere, secondo fonti parlamentari, il capogruppo alla Camera di Fi, Renato Brunetta, invano. Pesava il veto di parte dei democratici (e le proteste del M5S) per un nome considerato “politico”. Anche perché Ferraioli si era già presentata con Forza Italia alle ultime elezioni Europee, nonostante non fosse stata stata eletta.

Di fronte al temporeggiare di Silvio Berlusconi sull’Italicum, le stesse minacce renziane di riaprire la politica del “doppio forno” (confrontandosi con il M5S) potrebbero aver creato non pochi malumori tra i parlamentari azzurri più oltranzisti. Allo stesso modo, la partita delle nomine potrebbe essersi tradotta, nella logica dei dissidenti azzurri, in uno strumento per tentare di azzoppare il patto del Nazareno. Un’intesa oggi più precaria, ma che è ancora al suo posto, nonostante l’attendismo del Cav sulla legge elettorale e l’incidente della Consulta. Anche perché Berlusconi non sembra avere troppe alternative: se salta il Nazareno, l’ex premier rischia l’irrilevanza politica. Allo stesso modo, anche a Renzi non conviene rompere, inseguendo il progetto di incassare l’Italicum nella versione più conveniente per il nascente “partito della Nazione”.

 

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Silvana Sciarra e Stefania Bariatti (Credit: Lapresse/stamp Corriere.tv)

 

RISCHIO INCOMPATIBILITÀ PER BARIATTI – Intanto, sul nome della Bariatti può aver pesato anche l’ombra di un possibile rischio di incompatibilità. Sollevato prima che la candidata azzurra fosse azzoppata nel segreto dell’urna. In base al curriculum vitae dell’Università di Milano, Bariatti risulta essere da giugno 2013 membro del Cda di ASTM S.p.A., ovvero una società quotata alla Borsa di Milano, che si occupa di concessioni autostradali (una partecipazione confermata nel sito della stessa azienda). Ma non solo: dall’agosto 2013 risulta Presidente del consiglio di amministrazione di SIAS S.p.A., operatore leader nel settore autostrade nel nord-ovest in Italia (con circa 1400 km di rete in concessione). Secondo quanto prevede l’articolo 7 della legge 11 marzo 1953, n. 87, che regola il funzionamento della Consulta, «i giudici non possono assumere o conservare altri uffici o impieghi pubblici o privati, né esercitare attività professionali, commerciali o industriali, funzioni di amministratore o sindaco in società che abbiano fine di lucro». Tradotto, nel caso il suo nome venisse riproposto per il ventiduesimo scrutinio, sarà costretta a rinunciare alle cariche detenute se vorrà essere eletta nel ruolo di giudice costituzionale.

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