Il boom delle slot che prendono soldi in Italia ma pagano tasse all’estero

Esistono delle slot che sono andate a ruba in una fiera del settore a Roma. Ne parla oggi La Stampa, in un pezzo a firma di Alessandro Barbera. Sono ricercatissime non perché dal design accattivante ma bensì perché non sono collegate alla rete di Monopoli, non sono gestite da concessionari italiani e non pagano le tasse al nostro fisco. E sono paradossalmente «legali».

SLOT LEGALI ED “ESTERE” – Basta che si paghino le imposte nel paese del gestore, poco importa che sia un paradiso fiscale o meno. Spiega il quotidiano torinese che il cavillo sta tutto nell’articolo 44 della legge di Stabilità:

In sintesi: i totem non sono autorizzati, ma nemmeno del tutto illegali. Basta scorrere la lunga serie di dissequestri avvenuti negli ultimi mesi: a Bologna, a Venezia, Roma, Castel di Sangro, Catania. La Guardia di Finanza chiude i centri, il giudice non convalida.

Non si ottengono i soldi da slot con gestori esteri e così si cerca il tesoretto in quelli italiani. L’articolo 44 aumenta, secondo quanto riporta il quotidiano, «la tassa a carico delle vincite fino al 9 per cento per le videolotterie». Un rischio per le imprese del settore. Confindustria stima una perdita di 75 mila posti di lavoro con un 25 per cento di gettito fiscale del settore. Anche perché c’è un problema non indifferente: l’aggiornamento dei software.

Per limitare l’impatto dell’aumento, il governo propone di abbassare la vincita a chi gioca, riducendo la percentuale minima dal 75 al 70 per cento. C’è un ma: la revisione delle quote significa intervenire sul software di ciascuna slot. Secondo Fabio Schiavolin di Cogetech per adeguare le macchine sono necessari «da un anno a un anno e mezzo»: il rischio è quello di un nuovo maxicontenzioso.

Non proprio un affare.

(COPERTINA AP Photo/Julie Jacobson)

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